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Le vittime catanesi dei mafiosi, il corteo della memoria di Libera

Da Villa Bellini fino al Palazzo della Cultura e poi sono stati letti i nomi di tutti i morti ammazzati da cosa nostra

Di Laura Distefano |

La mafia ha ucciso, uccide e – quando sarà inevitabile, perché la strategia è cambiata – ucciderà. Catania è stata per decenni un cimitero a cielo aperto. Un omicidio ogni due o tre giorni. Imperversava la guerra tra i clan. E purtroppo nelle faide cadono anche gli innocenti. I boss di Cosa nostra si vantano di avere un codice. Si fanno chiamare uomini d’onore per questo, ma la verità è che sono solo criminali. Hanno ucciso bambini, ragazzini, donne incinte, giudici, imprenditori, avvocati, poliziotti, carabinieri e giornalisti. Alcune volte nei modi più crudeli.

Oggi, dopo il corteo di Libera (dal titolo “È possibile”) da Villa Bellini fino al Palazzo della Cultura, sono stati letti i nomi di tutte le vittime innocenti delle mafie.

Catania e i comuni della provincia ne hanno molte da ricordare e commemorare. Alcune di queste sono diventate icone e simboli della lotta alla criminalità organizzata. Nonostante la morte, le loro parole sono diventate pesanti e pressanti. La loro presenza è diventata imperante. I mafiosi volevano cucirgli la bocca, ma non ci sono riusciti.L’unico modo per non rendere vano il loro sacrificio è continuare a parlare di mafia, anche se oggi non spara più perché ha compreso che la politica della tensione la indebolisce mentre la sommersione la potenzia.

Libera Paesi Etnei, nel 2015, ha pubblicato un opuscolo dedicato alle storie di alcune vittime catanesi. Pippo Fava, direttore dell’indimenticabile mensile “I Siciliani” e firma del rivoluzionario articolo “I quattro cavalieri dell’Apocalisse”, fu assassinato il 5 gennaio 1984 davanti al Teatro Verga. Non fece in tempo a scendere dalla Renault 5 che lo freddarono con cinque colpi alla nuca.

Per questo delitto sono stati condannati – nello storico processo Orsa Maggiore – Nitto Santapaola e il nipote Aldo Ercolano (figlio di Pippo). Il 28 luglio 1985 il commissario di polizia Beppe Montana, agrigentino ma cresciuto a Catania, è stato assassinato in un agguato organizzato da Cosa nostra a Porticello, frazione di Santa Flavia, mentre era con la fidanzata.

Un altro poliziotto catanese ucciso dai mafiosi è stato Gianni Lizzio. Intorno alle 21 del 27 luglio 1992 l’ispettore, a bordo della sua auto, è stato affiancato da alcuni killer in sella a un motorino e fu crivellato di colpi tra via Leucatia e via Pietro Novelli. L’onda stragista era arrivata anche alle falde dell’Etna. Fu l’unico sì di Nitto Santapaola a Totò Riina. Il boss catanese preferiva tenere legami stretti con le Istituzioni, invece che attaccarli frontalmente.

Ma i corleonesi, che lo avevano aiutato a prendere il trono del padrino di Catania, volevano prove di fedeltà. E così Lizzio è entrato nel mirino.

Il maresciallo Alfredo Agosta è un’altra vittima con la divisa: mentre incontrava un suo confidente (Franco Romeo) in un bar entrò in azione un commando armato. E lo uccise. Purtroppo su questo delitto non ci sono state condanne con i nomi dei mandanti e degli esecutori.

I tre carabinieri Giovanni Bellissima, Salvatore Bologna, Domenico Marrara sono stati trucidati nella strage del casello di San Gregorio del 10 novembre 1979. I tre assieme all’autista Angelo Paolella stavano scortando il detenuto Angelo Pavone, detto ‘faccia d’angelo’, per un interrogatorio. Quel giorno Catania aspettava l’arrivo del Presidente Sandro Pertini, che andò all’obitorio a commemorare le vittime prima del tour istituzionale.

Luigi Bodenza è stato un poliziotto penitenziario ammazzato il 24 marzo 1994 in via Due Obelischi dopo un turno di lavoro a piazza Lanza per ordine del famigerato boss dei Laudani Giuseppe Maria Di Giacomo, poi diventato pentito. Lo stesso mafioso è il mandante dell’assassinio dell’avvocato Serafino Famà, freddato il 9 novembre 1995 a pochi passi dal piazzale Sanzio. Il penalista non volle tradire i valori della toga e per questo fu tragicamente assassinato.

In questo elenco ci sono anche diversi imprenditori che non hanno voluto piegarsi alle intimidazioni della mafia. E questa scelta l’hanno pagata con la vita. Nicola D’Antrassi è stato ammazzato con un colpo alla testa l’11 marzo 1989 a Scordia. Un delitto eccellente ma senza condannati, come quello dei due manager delle Acciaierie Megara Francesco Vecchio e Alessandro Rovetta uccisi il 31 ottobre 1990 a Catania. I familiari stanno lottando per non fare archiviare l’inchiesta sul duplice omicidio. Il 22 gennaio 1993, in un ovile, furono trovati i cadaveri di Antonino Spartà e dei figli Pietro Vincenzo e Salvatore. Avevano denunciato il clan Sangani. Giuseppe Puglisi, ucciso il 3 gennaio del 1996 nella periferia di Fiumefreddo, era proprietario di un piccolo caseificio. Per gli inquirenti nell’agguato ci sarebbe l’ombra del racket. Recentemente ci sono state le rivelazioni del pentito del clan Cintorino Carmelo Porto sull’omicidio di Carmelo Benvegna, commerciante in pensione, avvenuto il 6 dicembre 2001 davanti al suo agrumeto. Salvatore Pellegrino Pratella fu ucciso il 19 novembre 1990 perché il clan Laudani riteneva un affronto la sua decisione di ampliare il suo minimarket di carne, visto che da poco era stato ammazzato il boss Santo Laudani e quindi era stata chiusa la macelleria.

Vincenzo Leonardi è stato ammazzato il 13 giugno 1991. Era presidente di una cooperativa che operava all’interno del mercato ortofrutticolo ed era un rappresentante sindacale. Antonino Bruno era direttore della Banca popolare di Belpasso ucciso il 13 marzo 1991, al termine di una spedizione punitiva voluta dalla clan di Pulvirenti “u malpassotu”. Diversi sono gli innocenti ammazzati per uno scambio di persona: Filippo Parisi aveva solo 17 anni (23 marzo 1991), Giuseppe Agatino Cannavò aveva la stessa auto del vero bersaglio (8 marzo 1984).

Nell’elenco di Libera c’è anche Santa Puglisi, figlia del boss Antonio della cosca La Savasta ammazzata al cimitero assieme al nipote 14enne Salvatore Botta il 27 agosto del 1996 davanti alla tomba di suo marito. Cosimo Aleo aveva solo 16 anni quando rubò l’auto sbagliata: i mafiosi lo ammazzarono il 9 gennaio 1987 nelle periferie dell’acese. Infine sono stati inseriti anche i “picciriddi” Giovanni La Greca, Riccardo Cristaldi, Lorenzo Pace e Benedetto Zuccaro che oltre quarant’anni fa scipparono la borsa alla madre del capomafia Nitto Santapaola. Il pentito Nino Calderone raccontò l’orripilante e atroce morte di quegli adolescenti. Furono strangolati e gettati in un pozzo nelle campagne nissene.

A questi nomi forse ne andrebbero aggiunti altri, come il diciottenne Giuseppe Torre torturato, soffocato e bruciato il 19 febbraio 1992 dai killer di Cosa nostra. Un omicidio da poco tornato nelle cronache per il processo Thor.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA