L'hotel confiscato alla mafia e dato in gestione al nipote di Giovanni Brusca: è bufera a Palermo
La vicenda svelata da Fanpage riguarda l'Hotel Garibaldi nei pressi di Piazza Politeama. L'assegnazione del 2021
Un albergo, in pieno centro a Palermo, confiscato alla mafia e stato dato in gestione al nipote di Giovanni Brusca. E' quanto portato alla luce da un’inchiesta realizzata da “Confidential”, il format di approfondimento di Fanpage.it.
L’albergo in questione è l’Hotel Garibaldi, situato nella prestigiosa piazza Politeama, sequestrato alla mafia e – come scrive Fanpage - assegnato nel 2021 dal tribunale di Palermo alla Cribea srl, società di Giorgio Cristiano, che è nipote di Giovanni Brusca.
«La Cribea srl - si legge su Fanpage - riesce ad avere i titoli per gestire l’hotel Garibaldi perché nel 2020 inizia a gestire la “Ruggiero Settimo Room” un bed&breakfast nel cuore di Palermo. A 29 anni, partendo con un capitale sociale iniziale di 10mila euro, Giorgio Cristiano riesce ad ottenere in gestione il Garibaldi».
Il quotidiano online chiede conferma all’Agenzia nazionale per i beni confiscati che, con una pec e una breve dichiarazione telefonica, sottolinea che «l'assegnazione è stata fatta dal tribunale di Palermo che ha vagliato il nome di Giorgio Cristiano e non ha ravvisato nessuna criticità» e che «la Cribea srl non è destinataria di misure di prevenzione».
Al patrimonio di Giovanni Brusca, il boss mafioso che ha ordinato l'uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo e che a giugno è tornato in libertà, sarebbero ascrivibili, secondo quanto pubblicato da Fanpage, anche altri due alberghi di Palermo: l’hotel Borgo Vecchio e l’Astoria Palace Hotel. Il primo, come l’Hotel Garibaldi, è gestito dalla Cribea srl, l’Astoria Palace dalla Shc srl, società di Salvatore Cristiano, cognato di Giovanni Brusca.
Anche l’hotel Borgo Vecchio e l’Astoria Palace erano stati sequestrati alla mafia nel 2015 «ma sono stati restituiti ai legittimi proprietari nel 2016 poiché non sarebbero stati dimostrati i rapporti tra il gruppo Ponte e il costruttore Sbeglia».
«E' urgente effettuare opportuni approfondimenti sulla notizia diffusa da Fanpage.it che ci lascia sgomenti e senza parole soprattutto perché corredata da diverse fonti ufficiali che l’hanno confermata. In Sicilia questo tipo di segnali sono destabilizzanti e rischiano di vanificare decenni di successi nel contrasto a Cosa nostra per il quale in tanti hanno anche sacrificato la propria vita».
Così il segretario regionale del Pd Sicilia, Anthony Barbagallo, che è anche segretario della Commissione nazionale Antimafia.
“Sebbene l’assegnazione del bene in carico all’Agenzia nazionale per i beni confiscati - aggiunge - sia stata disposta dal tribunale di Palermo, ritengo che sia necessario approfondire ulteriormente la questione che riguarda seppur indirettamente anche un soggetto, Giovanni Brusca, che ha fatto parte dei massimi livelli di Cosa nostra, autore di efferati omicidi e stragi, che solo dopo l’arresto ha scelto di collaborare e ha finito di scontare la pena. Ma sul punto non ci possono essere ombre di alcun genere. Mi attiverò affinché la Commissione Antimafia intervenga tempestivamente».
«L'affidamento di un bene confiscato alla mafia e un hotel nel centro di Palermo al nipote di Giovanni Brusca, uno dei più feroci assassini della storia di Cosa Nostra, è un fatto gravissimo, che offende la memoria delle vittime di mafia e mette in discussione la credibilità dell’intero sistema di gestione dei beni confiscati. Vogliamo andare fino in fondo su questa vicenda» ha aggiunto la senatrice Enza Rando, responsabile Legalità e lotta alle mafie del Partito Democratico.
«Giovanni Brusca non è stato un mafioso qualunque. È l’uomo che ha premuto il telecomando nella strage di Capaci, che ha ordinato lo scioglimento nell’acido del piccolo Giuseppe Di Matteo, che ha insanguinato la Sicilia con decine di omicidi. Che oggi un suo congiunto, seppur formalmente incensurato, venga ritenuto idoneo a gestire un bene sottratto proprio alla criminalità mafiosa è qualcosa che va oltre il paradosso, chiediamo che sia fatta immediata chiarezza sui fatti».
«Se la giustizia non è anche percepita come giusta, se le scelte amministrative non tengono conto dell’impatto etico e simbolico, allora a perdere è lo Stato. Il riutilizzo sociale dei beni confiscati che è il volto della società che si ribella e costruisce lavoro vero e legale non può essere messa in discussione da fatti come questo. Si mette in discussione il lavoro che decine di cooperative sociali portano avanti quotidianamente tra minacce e intimidazioni», conclude Rando.