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Litorali e stabilimenti balneari in Sicilia, un affare per i titolari delle concessioni?

Di Daniele Ditta |

Dopo la Sardegna, la Sicilia è la regione italiana con il litorale più esteso: 1.200 chilometri di costa, di cui oltre 900 balneabili. Più della metà delle spiagge sono lasciate alla libera fruizione: la stima è della Cna, secondo cui «la superficie occupata dai lidi non supera il 40% della costa balneabile».

Sulle concessioni ai privati del demanio marittimo, il dossier di Legambiente “Le spiagge sono di tutti!” ha riaperto anche in Sicilia il dibattito su costo dei canoni, durata ed estensioni delle spiagge in affidamento. Nell’Isola i titolari di concessione sono circa 3 mila e danno lavoro a 9 mila addetti. In Sicilia, secondo Legambiente (che si basa sui conteggi fatti dal ministero dell’Economia nel 2016 tramite l’Agenzia delle Entrate), gli introiti derivanti dai canoni di concessione ammontano a 81.491 euro. Questa però è la quota che entra nelle casse dello Stato. In realtà la Regione incassa circa 9,5 milioni e, in virtù dello Statuto speciale, trattiene la quasi totalità delle risorse provenienti dai privati ai quali affida la gestione delle spiagge. In Sicilia il canone demaniale è in media di 2,15 euro al metro quadro. Eccetto alcuni casi – ad esempio il lido Azzurro alla Plaia (50 mila metri quadri) e la Italo-Belga a Mondello (36mila metri quadri) – si tratta di concessioni medie e piccole.

«Il valore dei canoni in alcune realtà italiane è davvero insopportabile» sostiene Legambiente, sottolineando la sproporzione tra le somme versate al demanio e «guadagni milionari». Una situazione che per gli ambientalisti va superata «stabilendo un canone minimo nazionale per le concessioni balneari di almeno 10 euro a metro quadro, lasciando la possibilità alle Regioni di introdurre premialità e penalità legate a modalità di gestione e interventi di riqualificazione ambientale messi in atto dai concessionari».

Altro problema sollevato da Legambiente è la mancanza di una legge quadro nazionale a tutela della libera fruizione delle spiagge: «Non esistono riferimenti normativi nazionali che fissino quale quota di spiaggia debba essere mantenuta libera. Sono poche le Regioni che sono intervenute per porre limiti alle concessioni balneari».

In Sicilia non esiste nessun limite ai privati, anche se è intendimento dell’Ars (così come emerso nelle commissioni competenti) di rilasciare concessioni non superiori ai 3 mila metri quadri, in modo tale da garantire il pluralismo negli affidamenti ed evitare vecchie e nuove forme di monopolio.

Intanto, sulla testa di tutti i concessionari pende la spada di Damocle della direttiva Bolkestein. E una data, 31 dicembre 2020, che rappresenta la scadenza della proroga accordata su tutto il territorio nazionale per le concessioni demaniali. «Da qualche anno – sostiene Legambiente nel suo rapporto – sembra che l’unica questione realmente importante rispetto alle coste italiane sia “fermare la Bolkestein”. Dietro questo nome si cela una questione giuridica ancora aperta (l’applicazione della direttiva 123/ 2006, che prevede l’assegnazione tramite gara delle concessioni), dove sono forti le pressioni. «Si deve fare chiarezza sulle regole: da un lato trovare regole trasparenti per le assegnazioni, ma anche proporre forme nuove di gestione, tutela e valorizzazione».

Legambiente chiede un intervento legislativo «per tutelare le spiagge e i diritti di tutti i cittadini ad avere spiagge libere e gratuite. La ragione è molto semplice: la domanda di fruizione delle coste è in crescita e i canoni che si pagano sono molto bassi». In Sicilia il settore turistico-balneare registra un tasso di crescita del 23% all’anno: tuttavia, di fronte alle incertezze sull’applicazione della Bolkestein, parecchi sono i concessionari che al momento non sono disposti ad investire. Insomma, si naviga a vista.

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