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LA VICENDA GIUDIZIARIA

Lombardo, i voti, la mafia: perché è stato assolto e perché la Procura generale fa ricorso in Cassazione

Il processo a carico dell'ex presidente 

Di Mario Barresi - Laura Distefano |

No: il calvario di Raffaele Lombardo non è ancora finito. Il cammino giudiziario di passione, partito più di dodici anni fa, continua con un’altra tappa a Roma. La Procura generale di Catania, infatti, ha depositato il ricorso per Cassazione per impugnare la sentenza della prima sezione della Corte d’Appello, che lo scorso 7 gennaio aveva assolto l’ex governatore dai reati di concorso esterno e di corruzione elettorale. Il ricorso, firmato da Agata Santonocito e Sabrina Gambino, magistrate applicate al processo, è basato su una chiara contestazione dell’assoluzione, che secondo l’accusa «si fonda su una motivazione frammentaria, in larga parte apodittica, che ignora molteplici elementi di prova acquisiti agli atti del processo a carico dell’imputato senza soffermarsi doverosamente a chiarire la ragione della loro irrilevanza». E anzi sostengono che la Corte «non riesce a ricostruire il ragionamento che in fatto e in diritto ha determinato l’assoluzione del Lombardo e neanche a chiarire le ragioni della formula di assoluzione adottata, sostanziandosi, in definitiva, in una motivazione apparente». 

«Ad avviso della difesa il ricorso della Procura generale non giunge inaspettato, attesa l'attenzione che fin dall'inizio hanno dedicato al caso giudiziario», è il commento di Maria Licata e Vincenzo Maiello, avvocati di Lombardo, sollecitati da La Sicilia. I due legali aggiungono: «Comprendiamo l'interesse del pubblico alla notizia, ma riteniamo che in questa vicenda processuale, così come nelle altre le uniche dichiarazioni rilevanti e utili per la difesa, vadano rappresentate ai giudici investiti del potere di decidere».

Ma ripartiamo dall’ultima mossa – tutt’altro che un colpo di scena – dell’accusa. Che rimette in gioco il destino di Lombardo, nel frattempo tornato a pieno regime a fare il leader degli Autonomisti, protagonista della recente campagna elettorale appena archiviata. Il ricorso della Procura generale è stato presentato lo scorso 21 settembre, nei termini rispetto al deposito delle motivazioni della sentenza, datato 6 luglio. Stavolta nessun giallo sull’invio al fotofinish, come nel precedente analogo atto dopo la prima sentenza di semi-assoluzione in appello. Ma tant’è. Il processo a carico di Lombardo dunque torna per la seconda volta al vaglio della Suprema Corte.

Le argomentazioni della Procura generale, nelle oltre 80 pagine di ricorso, si muovono in punto di diritto e passano in rassegna le motivazioni dei giudici d’appello (per il dettaglio si legga l’articolo nella pagina accanto). Le magistrate dell’accusa criticano apertamente «il percorso seguito dal decidente» che descrivono pieno di «contraddittorietà». La Procura generale punta il dito sul «percorso valutativo tracciato dal giudice del rinvio», affermando che la «ripartizione della motivazione della sentenza in quattro aree tematiche ha determinato la parcellizzare della valutazione degli elementi di prova».

Le due magistrate censurano la Corte che non sarebbe riuscita «a valutare le fonti di prova con un metodo unitario». Santonocito e Gambino cercano di smontare punto per punto le motivazioni della Corte di rinvio. Sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, di fatto “smontate” dai giudici d’appello, il ricorso è tranchant: «Esse convergono sul nucleo centrale del rapporto tra Raffaele Lombardo ed esponenti apicali della famiglia di cosa nostra operanti nella provincia di Catania e in quelle limitrofe, finalizzato in ogni caso alla infiltrazione nel settore degli appalti». Per le pg inoltre «le conversazioni intercettate nel corso delle indagini non sono state adeguatamente considerate e valorizzate».

Ma è la parte finale il cuore dell’articolato ricorso partito da Catania con destinazione Roma. Per la Procura generale, infatti, «illogica e contraddittoria è l’affermazione secondo la quale, dopo avere riconosciuto la sussistenza di legami e rapporti non occasionali con esponenti delle famiglie mafiose di “Cosa Nostra” , che avevano oggetto consapevoli richieste di sostegno elettorale al sodalizio mafioso, tramite esponenti di rilievo delle relative articolazioni territoriali , sono certamente interpretabili in chiave di “vicinanza” e di generica “disponibilità” secondo una causale di tipo elettorale clientelare (…) ma non sono espressione di concreto e specifico rapporto sinallagmatico tra Lombardo e Cosa Nostra».

Santonocito e Gambino evidenziano come  «proprio la definizione di consapevole richiesta si pone in evidente contrasto logico con la conclusione assunta». E dunque «l’avere rivolto per anni richiesta di appoggio elettorale, non genericamente a Cosa Nostra, ma agli esponenti di spicco delle famiglie mafiose che espressamente si occupano della gestione del controllo degli appalti, comporta la necessaria assunzione di un’obbligazione nei confronti di Cosa Nostra che, lungi dall’essere mera vicinanza, si traduce indefettibilmente nella promessa di facilitazioni nel conseguimento delle affermazioni degli obiettivi economici dell’organizzazione», argomentano le due magistrate.

«La considerazione della raggiunta prova delle reiterata richiesta di appoggio elettorale, alla luce delle massime di esperienza del settore comporta una e una sola lettura univoca: l’organizzazione mafiosa, non essendo una libera organizzazione con finalità solidaristiche, non regala appoggi», scrive la Procura generale citando soprattutto, fra le altre, la sentenza 18132 del 2016 della Cassazione.

L’assunto conclusivo, in un altro durissimo passaggio firmato dall’accusa, è così esplicitato: «Il rinnovato appoggio in occasione di più competizioni elettorali susseguitesi nel tempo è elemento forte di conferma del riconoscimento da parte dell’organizzazione mafiosa del positivo apporto dell’appoggio dato alla “propria ragione sociale” in termini di aumento del potere contrattuale dell’organizzazione sia nell’affermazione nei settori economici sia nell’affermazione nel confronto con altre organizzazione rispetto alle quali prevale in forze del “portafoglio crediti “ rappresentato dall’appoggio di un politico di spessore, quale era indiscutibilmente Lombardo».

Alcuni favori non si sono concretizzati dopo l’elezione di Raffaele Lombardo a presidente della Regione. Ma questo – secondo le pg – non assolve il politico catanese che avrebbe, una volta ottenuto il posto di potere, cambiato strategia: «Le aspettative dell’organizzazione criminosa, a ben vedere fondate sulle pregresse esperienze, di fatto saranno deluse quando Raffaele Lombardo, ormai eletto Presidente della Regione, ben conscio – avendo effettuato quella scelta consapevole di richiesta di sostegno elettorale al sodalizio mafioso – delle ombre che un’interlocuzione con esponenti mafiosi in termini di vantaggi diretti elargiti, avrebbe potuto provocargli, ne prende le distanze. Le veementi reazioni degli esponenti di Cosa Nostra delusi dall’atteggiamento scostante tenuto da Lombardo dopo le elezioni, a fronte di anni in cui avevano assicurato il loro appoggio,  trova spiegazione logica esclusivamente nel fatto che, per la prima volta dopo anni di sussistenza e mantenimento del patto sianallagmatico, il politico avvantaggiato lo tradisce».

E adesso toccherà alla Cassazione, che deve esprimersi su rilievi sul filo del diritto, scrivere un’altra pagina della telenovela giudiziaria dell’ex governatore siciliano. Potrebbe essere l’ultima, in caso di rigetto. Oppure no, se ci dovesse essere un accoglimento (anche parziale) delle tesi della Procura generale. In tal caso, nel gioco dell’oca giudiziario di Lombardo, si tornerebbe indietro di qualche casella. Non fino a quella di partenza. Ma comunque ben lontani dalla fine.  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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