Mafia e voto di scambio, blitz all’Ars
Mafia e voto di scambio, blitz all’Ars in manette i deputati Dina e Clemente
Arrestati anche altri due politici e un finanziere INTERCETTAZIONI
PALERMO – Mafia e voto di scambio, ci risiamo. Tempo fa la commissione regionale Antimafia presieduta da Nello Musumeci, aveva sottolineato quanto questo fenomeno fosse ancora radicato. E i cinque arresti di oggi eseguiti dalla Guardia di Finanza per compravendita di voti nelle elezioni del 2012 per il rinnovo del Consiglio comunale di Palermo e dell’Assemblea regionale siciliana lo confermano. Pacchetti di voti per 150 euro, soldi per le feste di quartiere, promesse di incarichi con guadagni fino a 15 mila euro, pacchi di pasta in regalo destinati ai poveri venduti a prezzi stracciati tranne però il parmigiano che finiva nelle dispense di un politico. C’è questo e tanto altro nell’inchiesta. E tra i cinque destinatari delle misure cautelari anche due consiglieri dell’ Assemblea regionale siciliana tuttora in carica e un ex deputato regionale. Si tratta di Nino Dina, dell’Udc, presidente della Commissione Bilancio dell’Assemblea regionale, Roberto Clemente, eletto nelle liste del Pid, e dell’ ex deputato, già indagato per intestazione fittizia di beni, Franco Mineo, oltre a Giuseppe Bevilacqua, del Pid, aspirante consigliere comunale, non eletto per una manciata di voti, ma che, secondo l’accusa, avrebbe cercato di far fruttare il “tesoretto” nella successiva campagna elettorale per le regionali.Tra gli indagati c’è anche un finanziere accusato di corruzione, mentre i politici rispondono di voto di scambio.
Per tutti il gip di Palermo ha disposto gli arresti domiciliari. L’inchiesta, coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e seguita dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi, nasce da una indagine di mafia. In cambio dei voti gli indagati avrebbero promesso posti di lavoro e denaro. L’inchiesta nasce da una indagine di mafia condotta dalla Guardia di finanza che, attraverso una serie di intercettazioni, ha accertato che alcuni candidati alle elezioni del 2012 offrivano denaro e posti di lavoro in cambi di voti. Collusioni e commistioni tra mafia e alcuni politici, impresse nelle bobine delle intercettazioni dagli investigatori, con un linguaggio e un contenuto «di un livello morale che ha raschiato il fondo, almeno lo spero», ha commentato amaro il procuratore aggiunto Teresi.
L’intercettazione, che ha dato l’input all’operazione di oggi, riguarda Giuseppe Bevilacqua, candidato nel 2012 alle comunali, risultato poi il primo dei non eletti. Sarebbe stato lui ad avere rapporti con la mafia. I finanzieri hanno registrato diverse sue conversazioni con i boss di San Lorenzo e Tommaso Natale, Calogero di Stefano e Giuseppe Antonio Enea. Nei dialoghi si parla espressamente di scambio di voti. Nell’indagine è coinvolto anche un finanziere accusato di corruzione che si chiama Leonardo Gambino.
Giuseppe Bevilacqua, primo dei non eletti alla carica di consigliere comunale a Palermo alle elezioni del 2012, sarebbe il personaggio principale dell’inchiesta. Bevilacqua, esponente del Pid, il partito di Saverio Romano, avrebbe gestito un pesante pacchetto di voti conquistato anche grazie ai suoi rapporti con esponenti di spicco del mandamento mafioso palermitano di Tommaso Natale. Ai boss, in cambio del sostegno, avrebbe promesso posti di lavoro. Ad alcuni politici avrebbe messo a disposizione le proprie preferenze chiedendo, come corrispettivo, favori, finanziamenti per le proprie associazioni, alcune di volontariato, incarichi professionali per sé e i suoi amici.
Il tutto è finito nelle intercettazioni della Finanza che indagavano sulla cosca di Tommaso Natale e si sono imbattuti nelle telefonate in cui Bevilacqua parlava con la moglie del capomafia Giuseppe Antonio Enea (per lui e per Calogero Di Stefano, già detenuti, il gip ha respinto la richiesta di misura cautelare avanzata dalla procura). A Enea Bevilacqua prometteva, tramite la consorte, di fare assumere il fratello e di fare avere alla cosca i soldi per la festa rionale di Marinella, un evento, a quanto pare, molto “sentito” dal clan.
Intercettazioni ► Video 1 – Vd 2 – Vd 3 – Vd 4 – Vd 5 – Vd 6 – Vd 7
I pm avevano chiesto la contestazione del reato di voto di scambio politico–mafioso, ma il gip non ha ritenuto che Bevilacqua, con la sua condotta, abbia avvantaggiato Cosa nostra e ha “preferito” la contestazione della corruzione elettorale. Stessa imputazione per Nino Dina e Roberto Clemente, rispettivamente deputati regionali dell’Udc e del Pid, che avrebbero potuto contare sui voti di Bevilacqua al quale avrebbero fatto avere incarichi e soldi per le sue associazioni. Analoghe le vicende imputate a Franco Mineo, ex parlamentare di Grande Sud già accusato di essere prestanome dei boss Galatolo del quartiere Acquasanta.
Ai domiciliari anche il finanziere Leonardo Gambino che avrebbe controllato, per conto di Bevilacqua, in cambio di un lavoro per un amico, se questi fosse indagato. L’aspirante consigliere, infatti, era preoccupato di essere tenuto sotto controllo. Ma le verifiche fatte dal finanziere, accusato di corruzione, non hanno dato risultati e Bevilacqua si era tranquillizzato. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dai pm Amelia Luise, Francesco Del Bene e Annamaria Picozzi.
L’inchiesta ha portato gli uomini della Guardia di finanza fin dentro il “santuario” di Palazzo dei Normanni, sede del Parlamento più antico e più indagato d’Europa, con 30 deputati su 90 coinvolti in inchieste giudiziarie. In un blitz di mezz’ora, le Fiamme gialle hanno perquisito e sequestrato documenti e hard disk negli uffici della commissione Bilancio, dove passano tutte le leggi di spesa, comprese quelle per i 100mila precari della Sicilia. Dopo la notifica della misura cautelare, i finanzieri si sono presentati in Parlamento con il deputato Dina, accompagnato dal suo avvocato. «Hanno portato via pc e tanti documenti», ha riferito un dipendente dell’Ars.
Intanto il Parlamento è di nuovo nella bufera. Per i 5stelle «la Sicilia è in emergenza morale ed etica, il Paese lo deve sapere» e come primo atto hanno chiesto a Dina di «dimettersi immediatamente da presidente della commissione Bilancio», prima che Palazzo Chigi emani il decreto di sospensione per i due deputati arrestati (subentreranno i primi dei non eletti nelle liste Udc e Pid-Cp, fin quando rimarrà la misura cautelare). L’Udc ha subito preso le distanze ricordando che Dina s’era autosospeso dal partito a settembre, anche il governatore Rosario Crocetta lo molla, affermando che «non fa più parte nella maggioranza». E in arrivo c’è il valzer delle commissioni, che da regolamento parlamentare, andavano rinnovate a metà legislatura. Se ne parlerà sabato in conferenza dei capigruppo, convocata d’urgenza dal presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone (Udc), che si appresterebbe anche a non concedere la deroga a 4 mini-gruppi parlamentari con meno di 5 deputati, tra cui proprio il Pid-Cp di cui fa parte Clemente. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA