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Maschere, mascherine e psicosi: ecco l’amore ai tempi del “colera”

Di Mario Barresi |

La decisione, insindacabile, è stata assunta dal “gruppo delle mamme” – boulé contemporanea che su WhatsApp consuma in silenzio diuturni maschicidi decisionali – e dunque per i bimbi niente trasferta in maschera ad Acireale.

Una resa precauzionale: «È un luogo affollato, c’è pericolo di contagio». E nulla può chi, in chat, prova a sdrammatizzare: «Ma lì, al carnevale, è sicuro: hanno tutti la mascherina…». Non l’hanno capita, la battuta.

Ma tant’è. Visto che il mini-raduno in maschera della classe s’ha da fare, in questa domenica – la prima in compagnia del Coronavirus – si ripiega su un campo minore, che nel vecchio Tutto il calcio… sarebbe stato raccontato da Ezio Luzzi. «Andiamo ad Aci Castello!». Niente male. La giornata, più che carnascialesca, è balneare. E dunque supereroi e principesse, ninja e militari, Else-di-Frozen e Cristianironaldo, si trasferiscono nella suggestiva cornice di piazza Castello, microcosmo di spensieratezza con vista mare seppur nelle ore di angoscia. Consumata con occhi sullo smartphone per aggiornarsi sul conteggio dei contagiati e orecchie e bocca aperte sul non da farsi: le gite scolastiche, i viaggi di lavoro, le partite allo stadio…

I bimbi giocano. Come se nulla fosse. E la bancarella con le fantasticherie di carnevale fa affari d’oro. Il pezzo forte è la bomboletta che spruzza stelle filanti, una melma verdastra e gioiosa che costa due euro. Quando un genitore si offre di comprarla ai recalcitranti mascherati sprovvisti, una madre lo rincorre. Braccandolo. «Scusi, queste bombolette sono made in China?», incalza con apprensione. E l’ambulante, con gli anticorpi della liscìa catanese, ribatte: «Signoooraaa, v’ata ricugghiutu i coriandoli d’interra… E ora, di bonu e bonu, ’u virus. Che vuole la bomboletta col marchio Ceeee (le ultime tre “e” sono per la cadenza molto marcata, ndr)?». Il che, dal suo punto di vista, coerentemente abusivo anche prima della pandemia, non fa una grinza.

«Andiamo a casa, vediamo che dice il telegiornale», è il commiato che resuscita i media tradizionali nel lattiginoso brodo primordiale delle bufale social. Andiamo a casa. Ma prima – anche in questa domenica di turbamenti virali – ci sono i dolcini da prendere. E così, in una premiata pasticceria con spazi minuscoli e numerini elimina-coda, capita anche di stare in fila con un distinto signore con la mascherina sul grugno. Quasi tutti lo osservano con garbato sdegno, ma l’indulgente compatimento sembra trasformarsi, nello sguardo di taluni, in solidale compenetrazione. «A mio nipote, che studia a Milano, gli hanno chiuso l’università – racconta una donna sulla cinquantina, in attesa di una Savarin – e mia sorella sta spendendo 410 euro per farlo tornare. Le dissi: te ne do io mille, ma fallo restare lì, che stiamo più tranquilli…».

E così, mentre bignè e setteveli sembrano guardarci con dolce scherno, si apre un dibattito da virologi della domenica: sui «cinesi che chissà quanti morti stanno ammucciando», sui «controlli fasulli, perché dovrebbero bloccare tutti gli aeroporti», sul focolaio padano che «meno male che qui non è ancora calato, ma dovrebbero chiudere lo Stretto di Messina». Derubricata a fake la tesi di un tizio («In America non ci sono casi perché si curano bevendo acqua e candeggina»), il migliore vaccino – quasi all’unanimità – è il classico «megghiu ca ni stamu ‘e casi».

E poi, ineluttabile come il pranzo dalla suocera, la spesa domenicale. In un pomeriggio in cui sugli scaffali dell’ipermercato, più affollato del solito, arrivano le prime razzie da vettovagliamento preventivo. Con l’immancabile logica bellica di selezione delle scorte: quasi vuoti i ripiani di legumi secchi (un vecchietto si tuffa sui pochi barattoli di fagioli rimasti e li scaraventa sul carrello), latte, pasta, conserve in generale; neanche l’ombra di Amuchina e affini. Mancano pure i Nutella Biscuits, ma quella è un’altra storia.

Nel reparto dei pelati una minuscola anziana non deve fare nemmeno lo sforzo di abbassarsi per accaparrarsi le bottiglie rosso fuoco: una, due, tre… Ne contiamo venticinque. «Ma è perché c’è l’offerta», si giustifica lei sentendosi osservata.«Manco per la vigilia di Natale. Fino a sabato sera sembrava tutto normale, ma ora – certifica la cassiera – s’è scatenato l’inferno. I primi clienti mi parevano esagerati, ma ne sono venuti talmente tanti a fare scorte che quasi quasi mi sto preoccupando anch’io».

Ipse dixit, mentre una giovane coppietta è intenta a litigare. «Con le cose che mi hai fatto prendere – dice lei – possiamo stare chiusi in casa fino al 2025…». E lui (che sembra il Furio verdoniano): «Amo’, ma non sarebbe bello? Noi due soli soletti, senza il pensiero di uscire…». La risposta è tutt’altro che da Magda: «Guarda, piuttosto me ne vado a Wuhan e muoio col mio piacere!». Ma il fidanzatino non coglie la sottile ironia: «Ma ci sono i voli bloccati, dove vai…? Non ci puoi andare lì».

Forse-non-lo-sai-ma-pure-questo-è-amore, cantava Vecchioni.

Sì, è amore.

L’amore ai tempi del colera.

Twitter: @MarioBarresi

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