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Strategie
Messina Denaro, così si riorganizza la nuova mafia: fari accesi su un “fresco” latitante
Gli investigatori tentano di anticipare le mosse strategiche di Cosa nostra
«I mafiosi avranno sempre una lunghezza di vantaggio su di noi». Le parole del giudice Giovanni Falcone diventano quasi la bussola per orientarsi nel contrasto alla mafia dopo la morte di Matteo Messina Denaro. Sottovalutare Cosa nostra anche davanti a grandi risultati come la cattura del latitante di Castelvetrano, ieri notte deceduto all’ospedale de L’Aquila, è l’unico errore da non commettere. Non a caso, infatti, le affermazioni del magistrato ucciso dal tritolo di Capaci 31 anni fa sono state citate dal procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, lo scorso gennaio quando è stato audito al Senato sul tema delle intercettazioni. Un passo avanti a noi, quindi.
La mafia è cambiata rispetto a quella che abbiamo conosciuto. Il procuratore generale di Palermo Lia Sava parla di «mafia liquida» che guarda con interesse, anzi forse si è già attrezzata, al mondo multimediale delle criptovalute e del darkweb. Un cosmo digitale in cui è facile muoversi con destrezza senza il controllo degli investigatori. La nuova mafia, quella dei piani altissimi che Messina Denaro a quanto pare ha toccato e forse controllato, veste i panni dei manager che hanno il sostegno di ingegneri informatici e broker che investono in bitcoin. Dare un nome e un volto a questa Cosa nostra che punta a infiltrarsi nei mercati legali dell’era dei server sfruttando i buchi normativi del web è la nuova sfida degli investigatori antimafia.
Però attenzione a non abbassare le antenne in zona militare. Anche su questo fronte l’analisi della pg Sava è strategica: «A volte è solida, fredda come il ghiaccio, taglia e ferisce, perché al bisogno è capace di uccidere ancora».La mafia è ancora capace di uccidere. Lo fa solo quando non ha alternative, ben consapevole del rischio in cui incorre. Alle manette oggi non c’è più scampo. A livello militare i focolai sono ancora accesi. Appena pochi anni fa, quasi in concomitanza con la morte del capo dei capi Totò Riina, i vertici di alcuni storici mandamenti di Palermo tentarono di ricomporre la Commissione provinciale. Una prova che costò le manette all’anziano boss Settimo Mineo, il numero 1 di Pagliarelli. Per la Dda palermitana sarebbe stato il “prescelto” per tenere le redini della nuova cupola.
Immediatamente dopo la cattura dell’ex primula rossa, osservatori e studiosi del fenomeno mafioso hanno tentato di capire chi avrebbe potuto detenere lo scettro di padrino. Anche se il procuratore Maurizio de Lucia avvertì: «I clan non accetterebbero mai di farsi guidare da un non palermitano. A cominciare da un trapanese».Nonostante quelle dichiarazioni, il toto nomi dopo la sua dipartita è (ri)cominciato. Il primo papabile tirato fuori dal cilindro è stato quello del settantenne Stefano Fidanzati, cresciuto tra le strade dei porti turistici dell’Arenella e dell’Acquasanta che ha fatto la sua fortuna tra Palermo e Milano grazie al narcotraffico. A creare l’impero fu però il fratello Tano, scomparso nel 2013 all’età di 78 anni.Come possibile erede criminale si pensa anche all’introvabile Giovanni Motisi, ‘u pacchiuni. Ha quasi la stessa età di Messina Denaro, il boss del mandamento Pagliarelli ha infatti 64 anni. Gli investigatori gli danno la caccia dal 1998. È nell’elenco dei quattro superlatitanti presenti nel programma speciale di ricerca del gruppo di investigatori interforze. Motisi sarebbe stato a lungo uno dei killer di fiducia del padrino corleonese Riina. Alle spalle diverse condanne per omicidio. Venti anni fa si sono aggiunte le accuse di associazione mafiosa e strage.
Si guarda anche tra i più giovani, ma che comunque si sono fatti le ossa dietro le sbarre. L’anno scorso sfuggì alla cattura nell’operazione “Vento” Giuseppe Auteri, ‘u vassoio, uomo d’onore di Porta Nuova. Sarebbe un allievo del capomafia Calogero Lo Presti. Il pentito Alessio Puccio definì il latitante «uno dei più bravi ragazzi per la cosca al momento, perché già ha fatto tanti anni di carcere».Forse però è un errore guardare a una gestione monarchica della mafia siciliana. Cosa nostra potrebbe aver scelto di istituire una governance manageriale affidata a un cda. Una cabina di regia a più mani per difendersi da arresti e blitz.