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L'OPERAZIONE

Migranti, scoperta anche la “business class” degli sbarchi in Sicilia: arrestati 5 tunisini

Le risultanze di una operazione che ha permesso di ricostruire il viaggio di una “nave madre” da Madhia all'acque di Lampedusa

Di Alfredo Zermo |

Ci sarebbe anche una business class per gli sbarchi in Sicilia. L’hanno scoperta gli uomini della Guardia di Finanza che il 17 febbraio scorso hanno avvistato, a sei miglia dall’isola di Lampione, un peschereccio che trainava un barchino in ferro con un solo uomo a bordo. L’aereo dell’Agenzia Europea Frontex insospettito ha fatto scattare i controlli via mare. Due imbarcazioni sono partite da Lampedusa e hanno subito intercettato l’imbarcazione. Un peschereccio con cinque membri di equipaggio e 11 passeggeri che nel frattempo erano stati fatti salire sul barchino senza motore e senza viveri. Stavano per essere lasciati alla deriva mentre veniva lanciata una segnalazione per il loro recupero a nome di una barca diversa dalla loro.

I finanzieri hanno accertato anche che sul peschereccio non c’era nessuna traccia di pescato per cui l’attività svolta era ben diversa da quella che l’imbarcazione e il personale avrebbero dovuto svolgere, i migranti sono stati quindi fatti salire a bordo della motovedetta e il peschereccio è stato accompagnato a Lampedusa. E’ stata quindi avvisata la magistratura che ha disposto il fermo dei cinque membri dell’equipaggio mentre i passeggeri, che erano tutti riposati e in buone condizioni di salute, hanno ammesso di avere pagato un biglietto di quasi 12 mila dinari, ovvero il triplo di quello che pagano solitamente i migranti, ma che gli sono state date assicurazioni sulla loro sicurezza durante il viaggio.

Lo stop sull’isola di Lampione sarebbe stato dovuto a un cambiamento di programma, ma potrebbe anche essere una strategia. Ovvero una barca chioccia che lascia sui barchini a poche miglia dalla costa e poi avvisa le autorità italiane di andarli a prendere.

I dettagli dell’operazione sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa dal procuratore reggente di Agrigento, Salvatore Vella, dal colonnello Alessandro Bucci, comandante del reparto operativo Aeronavale di Palermo, e dal capitano comandante la tenenza di Lampedusa.

Nessuna collaborazione

«Non c’è stata collaborazione da parte dei migranti che erano in viaggio ha detto il procuratore Vella – Ma questo non ci stupisce perché, in genere, i tunisini a bordo vengono trattati meglio rispetto ai subsahariani che, invece, di fatto poi sono più collaborativi con le forze di polizia italiane perché rischiano la vita e hanno una forma di gratitudine nei confronti dei nostri equipaggi in mare».

«In questo caso, come è già successo anche in altre occasioni naufragi compresi – ha aggiunto il magistrato – è venuta fuori una solidarietà stretta fra tunisini trasportati ed equipaggio. A fare parziali ammissioni di responsabilità è stato uno dei membri dell’equipaggio che ci ha confermato che questo era un viaggio destinato a trasportare i migranti».

Gli 11 migranti, compresi tre minorenni e tre donne, erano partiti dal porto di Madhia. Poco al largo del porto, verosimilmente per evitare di essere bloccati dalla Guardia costiera tunisina, sono stati caricati sul peschereccio che li doveva condurre fino alle coste siciliane. «E’ successo un imprevisto durante il viaggio – ha ricostruito il colonnello Alessandro Bucci, comandante del reparto Operativo aeronavale di Palermo – e hanno recuperato, in mare, uno di questi barchini in ferro. Uno dei tanti che, dopo aver salvato i migranti, vengono lasciati alla deriva. Ed è stato proprio questo barchino che veniva trainato vuoto che ha insospettito».

«Le organizzazioni tunisine caricano almeno una cinquantina di migranti e in questo caso erano soltanto undici. Il barchino era vuoto e pulito, non c’erano viveri, né resti, né taniche di benzina – ha aggiunto il colonnello Bucci – . Il motopesca aveva chiamato, via radio, i soccorsi, facendo mettere in moto la macchina dei soccorsi per recuperare i migranti. Avevano fornito però un nominativo fittizio».

I pescatori riconvertiti

Che molti pescatori tunisini si siano riconvertiti al business criminale del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina era già chiaro. Così come era emerso – grazie a un focus della Procura di Agrigento – che i tunisini hanno un atteggiamento di grande rispetto per i connazionali in viaggio. Fino ad ora, i barchini di metallo carichi di migranti, siano essi subsahariani o tunisini, partivano – e ancora lo fanno – da Sfax o da Mahdia per raggiungere le coste siciliane. Molti riuscivano, e riescono, ad arrivare sotto costa di Lampedusa. Tanti invece quelli che restano alla deriva o, peggio ancora, naufragano.

Il peschereccio tunisino fermato, nei giorni scorsi, dalla Guardia di finanza e ritenuto «nave madre» ha permesso di comprendere che il traffico di esseri umani dalla Tunisia sta cambiando. E che le organizzazioni tunisine potrebbero trasformarsi, strutturandosi, e diventare come quelle libiche. «Questo canale tunisino va attenzionato, altrimenti rischiamo di far strutturare le organizzazioni tunisine che sono ancora, per la maggior parte, rudimentali – ha spiegato il procuratore reggente Salvatore Vella – e il rischio è che divengano organizzazioni criminali strutturate sulla falsa riga della Libia. La disponibilità di contanti in una realtà economica depressa e con una situazione difficile qual è quella tunisina potrebbe far aumentare questo genere di viaggi. E’ difficile pensare che un’attività di questo tipo sia un caso isolato, con un viaggio del genere quella barca guadagna quanto si fa con due o tre mesi di attività di pesca».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA