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Cronaca

Montante, dalla carte il racconto di storie di ordinaria disumanità

Di Mario Barresi |

DAL NOSTRO INVIATO

CALTANISSETTA – Non soltanto giochi di potere e copioni da film di spionaggio. Nelle carte dell’inchiesta su Antonello Montante ci sono anche storie di ordinaria disumanità.

Il 6 aprile 2016 l’allora leader di Sicindustria è intercettato mentre parla con un fedelissimo: Giuseppe Valenza, suo delfino e a lungo vice alla Camera di Commercio di Caltanissetta. «Ma già sù… guardami a mia… (…)… Cicero prima o poi si itta arrì… tu vedrai… tu vedrai ah? Dici ma comu minchia u sà! Tu vedrai che Cicero si butta di nuovo… perché… (più parole incomprensibili a causa del tono della voce troppo basso)… tu vedrai senza…».

Non c’è neanche bisogno di un traduttore simultaneo nisseno-italiano. La frase di Montante è chiara. Così com’è evidente che sta parlando di Alfonso Cicero, ex presidente dell’Irsap. Ma quello che non è d’immediata comprensione è il riferimento a un episodio doloroso della vita personale di Cicero, citato come parte offesa (l’unica oltre al Viminale, che s’è defilato in modo scandaloso) nella richiesta di rinvio a giudizio formulata dai pm nisseni e giovedì ammesso dal gup David Salvucci fra le parti civili del processo in cui è persona offesa. Quando Montante dice che Cicero «si butta di nuovo» ricorda il tentato suicidio del suo ex sodale, poi diventato accusatore e infine teste-chiave dell’accusa. Non a caso, nella richiesta al gup, l’avvocato Annalisa Petitto sostiene che «l’imputato rievoca in modo cinico e crudele, senza il minimo rispetto per la dignità umana» quel «drammatico evento di tanti anni addietro», un’esperienza «brillantemente superata» grazie «alla moglie Valeria e ai due giovanissimi figli Antonino e Rita». Per il legale di parte civile quella «disumana affermazione» è il simbolo della «preordinata pianificazione, ideazione e attuazione di tutte le più perverse strategie ritorsive» ai danni dell’ex commissario Irsap, «curate nel dettaglio» da Montante e concretizzate «attraverso dei suoi sodali di volta in volta ingaggiati». E il suicidio, in questa tesi, non è soltanto una foto sgualcita del passato di un nemico, ma un auspicio: per l’avvocato Petitto «il fine ultimo, brutale e criminale» che unisce «ogni iniziativa ritorsiva» dell’imputato nei confronti di Cicero è «indurlo a privarsi della sua stessa vita». È chiaro che l’avvocato fa il suo mestiere. Ma il gup, accettando la richiesta, sembra attestare la linea delle «conseguenze devastanti e irreparabili» subite dalla parte offesa.

Nell’escalation delle minacce c’è un apice. Fra aprile e luglio 2015, quando – come denunciato da Cicero ai magistrati di Caltanissetta – il paladino dell’antimafia, già sotto indagine per concorso esterno alla mafia, voleva costringerlo a scrivere una lettera in cui avrebbe dovuto dichiarare che «l’azione di denuncia contro mafia e affari nelle aree industriali della Sicilia» era «frutto delle indicazioni» di Montante. E quella nota doveva essere retrodatata a prima del 10 luglio 2014, quando lo stesso Cicero fu audito dall’Antimafia nazionale. Il pressing arriva proprio nel periodo in cui c’era in ballo la riconferma al vertice dell’Irsap. E, per essere più credibile, Montante, oltre a rassicurarlo della moral suasion su Crocetta per la nomina, mostra al suo interlocutore un «corposo tabulato» con tutti gli sms che negli anni aveva ricevuto dal gotha delle istituzioni. «Ce ne saranno per tutti!», gli dice. Il 17 settembre 2015 Cicero va alla Dda per la sua prima denuncia sul “sistema Montante”. Il giorno dopo viene nominato commissario dell’Irsap dall’assessore Linda Vancheri. Ma si dimette.

Il resto è storia più o meno recente, tutto agli atti del processo. Tranne una sfumatura. Che in pochi hanno colto in udienza preliminare. Ovvero che anche la “nuova” Regione, quella del post-crocettismo, ha lasciato solo Cicero. Il quale è funzionario regionale, dal 1989, tornato in servizio in un ufficio dell’Agricoltura a Caltanissetta. All’uscita dal tribunale, giovedì, gli chiediamo se qualcuno da Palermo si sia mai fatto vivo – con lui, dipendente, ex presidente Irsap e parte offesa al processo – per proporgli un sostegno legale o di affiancarlo. La risposta è monosillabica: «No». E ciò fa il paio con la gaffe della mancata costituzione della Regione al processo. Ma anche con un altro beffardo paradosso: Andrea Cavacece, capo reparto dei servizi segreti civili, imputato assieme a Montante, viene difeso dall’Avvocatura dello Stato. Con i soldi dei cittadini.

Twitter: @MarioBarresi

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