MIGRANTI
Naufragio nel Canale di Sicilia, si cercano una quarantina di dispersi. Recuperati già sei cadaveri
Dieci persone, sei uomini e quattro donne, sono invece riuscite a sopravvivere
Sono riprese stamane le ricerche di una quarantina di dispersi dell’ultimo naufragio avvenuto nel Canale di Sicilia, al largo delle coste tunisine. Ieri pomeriggio le motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza avevano sbarcato a Lampedusa dieci superstiti e sei cadaveri recuperati al largo dell’isolotto di Lampione. I naufraghi erano su un gommone semi affondato.
I sopravvissuti hanno riferito d’essere partiti domenica notte in 56 da Sfax, in Tunisia, con un gommone. Dopo meno di 24 ore, mentre erano in acque internazionali, molti migranti sarebbero caduti in acqua durante la traversata forse a causa del mare agitato.
Il gommone ha proseguito la sua navigazione e ieri pomeriggio, ormai semi affondato, è stato intercettato nelle acque antistanti l’isolotto di Lampione. Oggi i dieci naufraghi – sei uomini e quattro donne – verranno ascoltati dalla polizia e si cercherà di ricostruire, con maggiore precisione cosa sia accaduto e di vagliare il loro racconto. Le sei salme, tutti uomini, sono state portate nella camera mortuaria del cimitero di Cala Pisana e verranno sottoposte ad ispezione cadaverica.
Alle operazioni di soccorso hanno partecipato le motovedette Cp324 della Capitaneria e V1302 delle Fiamme gialle. Inizialmente due uomini erano stati portati al Poliambulatorio, ma dopo i controlli medici che hanno accertato il buono stato di salute anche loro sono stati trasferiti all’hotspot di contrada Imbriacola.
Era da diverse settimane che non venivano intercettati natanti partiti dalla Tunisia. Fino a ora tutti i migranti sbarcati a Lampedusa hanno riferito d’essere salpati dalla Libia. Dopo i 10 naufraghi, sull’isola sono giunti altri 40 migranti (9 donne e 2 minori) ivoriani, senegalesi, guineani e malesi. Anche loro hanno riferito d’essere partiti da Sfax e hanno viaggiato su barchino di metallo di otto metri.
Ieri a Lampedusa sono stati registrati complessivamente cinque sbarchi con un totale di 213 migranti.
L’hotspot di Lampedusa
«Abbiamo accolto nell’hotspot i dieci superstiti dell’ultimo naufragio. L’imbarcazione era partita dalla Tunisia e si tratta di persone provenienti dall’Africa subsahariana. Hanno riposato tutta la notte e sono tutti in buone condizioni di salute. Forniremo loro un ulteriore supporto psicologico con l’equipe multidisciplinare». Così Cristina Palma, vice direttrice dell’hostpot a Lampedusa, gestito dalla Croce rossa italiana, in merito al naufragio delle scorse ore e dei superstiti ospiti della struttura di accoglienza.
La Cri fa sapere che «non si hanno al momento conferme in merito al numero delle persone presenti a bordo dell’imbarcazione oltre ai sopravvissuti a questo triste evento, sono giunte sull’isola sei salme».«Attualmente all’interno dell’hotspot abbiamo 255 ospiti – conclude Palma – per ora di pranzo è in programma un trasferimento di circa 180 persone».
La guardia costiera: «Meteo avverso»
«Oggi, a causa delle condizioni meteomarine particolarmente avverse – si legge in un comunicato della Guardia Costiera -, le operazioni di ricerca degli eventuali dispersi proseguono con il supporto di diversi mezzi aerei, tra cui l’aereo Manta della Guardia Costiera e velivoli di Frontex, di forze armate e polizia, che si alterneranno nelle attività di sorvolo dell’area. Sono stati inoltre allertati i Centri di coordinamento del soccorso marittimo di Malta e della Tunisia per le ricerche nelle rispettive aree Sar di competenza».
«Si eseguano test del dna»
Il Comitato 3 ottobre, nato per ricordare il naufragio del 2013 a Lampedusa che provocò almeno 368 morti, auspica che ai cadaveri dei sei migranti recuperati ieri nelle acque dell’isola e gli eventuali dispersi che dovessero venire recuperati, «venga subito prelevato almeno un campione di Dna e che la Polizia scientifica fotografi i cadaveri. Riteniamo che sia doveroso farlo, come avverrebbe se il naufragio vedesse coinvolti dei turisti e non delle persone migranti».
Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre, afferma che «la corretta identificazione di queste vittime è una questione di uguaglianza, salvaguardata da leggi nazionali e internazionali, tra cui le quattro convenzioni di Ginevra del 1949 e i successivi protocolli, così come l’articolo 10 della nostra Costituzione. Non si tratta, quindi, solo di un obbligo di carattere morale, ma di un obbligo giuridico».
«Chiediamo alla prefettura di Agrigento di mettere in atto tutte le azioni atte all’identificazione di queste persone e che vengano resi pubblici i luoghi di sepoltura – continua – L’Unione europea riconosca e tuteli il diritto all’identificazione di coloro i quali sono deceduti nel corso di una migrazione. Cercando di trovare una soluzione ad ampio respiro utilizzando risorse governative già esistenti, creando specifici regolamenti e procedure».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA