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LA POLEMICA

Depistaggio Borsellino, l’ex pm Petralia non ci sta: «Io, processato e assolto, meritavo delle scuse»

L'ex pubblico ministero catanese replica a distanza all’avvocato Fabio Trizzino, legale di parte civile dei familiari di Paolo Borsellino.

Di Elvira Terranova |

«Il fair play non è una dote che può esigersi in chi ha subito lutti gravissimi, ma altra cosa è il rispetto delle regole dello Stato di diritto. Ciò vale per le parti private, ma ancora di più per chi rappresenta la parte pubblica. In nome di chi viene chiesto scusa, mi domando. In nome di quei magistrati che ostinatamente sono stati accusati, perseguiti e processati per poi venire assolti con una motivazione che non ha lasciato spazio a ombre o sospetti? O in nome addirittura del giudice che li ha giudicati e assolti? O in nome della procura competente che per questo giudizio non ha impugnato la sentenza? Forse qualcun altro avrebbe avuto il diritto di esigere delle scuse, ma il fair play e comunque il rispetto per il dolore di una famiglia atrocemente colpita glielo hanno impedito». Lo ha detto all’Adnkronos il magistrato Carmelo Petralia, replicando così a distanza all’avvocato Fabio Trizzino, legale di parte civile dei familiari di Paolo Borsellino.

Oggi, nel corso dell’arringa difensiva, nel processo sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio, Trizzino ha duramente attaccato Petralia, ma anche l’ex pm Annamaria Palma, che subito dopo le stragi indagarono sull'uccisione di Borsellino e dei cinque agenti della scorta.   «Il pm Stefano Luciani all’inizio della requisitoria ha ritenuto di chiedere scusa alle parti civili presenti, io vorrei rassicurare il dottor Luciani che non è lui che deve chiedere scusa, perché ha dato un contributo fondamentale per almeno 13 anni alla ricostruzione di questi eventi così dolorosi – ha detto Trizzino, seduto vicino a Manfredi Borsellino – Sono altri i pm che avrebbero dovuto chiedere scusa. Scuse mai arrivate», e il riferimento è proprio a Petralia e Palma, oltre che all’attuale consigliere del Csm Antonino Di Matteo che per un periodo indagò sulle stragi. «Nonostante noi crediamo che loro siano in qualche modo convolti nel confezionamento di quello che è stato definito nella sentenza 'Borsellino quater' come uno dei "più grandi depistaggi" della storia giudiziaria italiana", ha detto ancora Trizzino.

Ed ecco l’attaco frontale ai magistrati: «Mi rendo conto che è un’affermazione forte e dolorosa- ha detto Trizzino- ma visto il contegno tenuto nel corso del loro esame, per quanto riguarda la dottoressa Palma e Petralia, come indagati di reato connesso, e il dottor Di Matteo, noi diciamo che "per quanto loro si possano credere assolti, riteniamo che siano lo stesso per sempre coinvolti", e lo dimostrerò nel corso di questa arringa», citando una canzone di Fabrizio De Andrè, "Canzone del maggio", che recita: «Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio, se la paura di guardare, vi ha fatto chinare il mento, se il fuoco ha risparmiato le vostre Millecento, anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti».

«Solo abbassando i toni e ricordandoci che ci sono dei limiti che tutti – parti civili e parti pubbliche – dobbiamo rispettare si rende onore alla Giustizia e ai tanti eroi che in nome di essa hanno sacrificato le loro vite», ha poi aggiunto il magistrato Carmelo Petralia. L’anno scorso, Petralia e Annamaria Palma erano stati indagati dalla Procura di Messina per concorso in calunnia aggravata, perché accusati di avere indottrinato il falso pentito Vincenzo Scarantino. Ma il gip di Messina ha archiviato la loro posizione. 

Ecco cosa scriveva il gip di Messina, che aveva accolto la richiesta di archiviazione della Procura: «Sono insussistenti gli elementi probatori certi e univoci tali da consentire la sostenibilità in un eventuale futuro dibattimento dell’accusa di calunnia a carico degli indagati».

I due magistrati facevano parte del pool che coordinò l’indagine sull'attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. A entrambi si contestava il reato di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra. Nell’ipotesi accusatoria, in concorso con tre poliziotti tuttora sotto processo a Caltanissetta per la medesima accusa – Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo – i due pm avrebbero depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio imbeccando tre falsi pentiti, tra cui Vincenzo Scarantino, e suggerendo loro di accusare dell’attentato persone ad esso estranee. Quelle false accuse avevano poi portato all’ingiusta condanna all’ergastolo nei confronti di sette persone: Cosimo Vernengo, Gaetano La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso e Natale Gambino. I sette, ora persone offese dal reato, si erano opposte alla richiesta di archiviazione presentata dai pm. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA