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L'INTERROGATORIO

L’autista del boss: «Non sapevo fosse Messina Denaro, solo un pazzo potrebbe accompagnare un superlatitante»

Luppino, 59 anni, commerciante di olive, ha sostenuto di non conoscere il capomafia

Di Redazione |

«Non sapevo che fosse Matteo Messina Denaro, solo un pazzo avrebbe potuto accompagnarlo sapendo che si trattava del boss». Si è difeso così Giovanni  Luppino, l’autista del super latitante arrestato lunedì scorso a Palermo mentre lo accompagnava alla clinica la Maddalena. Lo ha detto il suo difensore, l’avvocato Giuseppe Ferro, al termine dell’udienza di convalida davanti al Gip che si è svolta nel carcere Pagliarelli. Luppino, 59 anni, commerciante di olive,  ha sostenuto di non conoscere Messina Denaro, che gli era stato presentato come cognato di Andrea Bonafede,e di averlo accompagnato perchè doveva sottoporsi alla chemioterapia. 

 Il Gip Fabio Pilato ha convalidato l'arresto in flagranza di Giovanni Luppino. Il giudice si è riservato di decidere sulla richiesta di custodia cautelare in carcere. Luppino risponde di procurata inosservanza della pena e favoreggiamento aggravati dal metodo mafioso. 

Luppino davanti al Gip si è difeso come detto sostenendo di non sapere che l’uomo che stava accompagnando fosse Matteo Messina Denaro. Il commerciante di olive ha spiegato di averlo conosciuto qualche mese fa e che gli era stato presentato, con il nome di «Francesco», come il cognato di Andrea Bonafede, il geometra al quale era intestata la falsa carta d’identità utilizzata dal super latitante.

Luppino ha aggiunto di averlo accompagnato lunedì scorso per la prima volta a Palermo, dove il boss doveva sottoporsi a un ciclo di chemioterapia, perchè gli era stata chiesta questa cortesia proprio a causa delle sue condizioni di salute.

Ma secondo le considerazioni della richiesta di custodia cautelare in carcere fatta dalla Procura di Palermo a carico di Giovanni Luppino, «nessun elemento può allo stato consentire di ritenere che una figura che è letteralmente riuscita a trascorrere indisturbata circa 30 anni di latitanza, si sia attorniata di figure inconsapevoli dei compiti svolti e dei connessi rischi, ed anzi, l’incredibile durata di questa latitanza milita in senso decisamente opposto, conducendo a ritenere che proprio l’estrema fiducia e il legame saldato con le figure dei suoi stessi fiancheggiatori abbia in qualche modo contribuito alla procrastinazione del tempo della sua cattura che, altrimenti, sarebbe potuta effettivamente intervenire anche in tempi più risalenti».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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