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L’Ue avverte l’Italia: «Nell’obbligo di salvare vite in mare non c’è differenza tra le navi Ong e le altre»

Di Redazione |

 «Non c'è differenza tra le navi delle Ong o le altre navi: è un obbligo chiaro e inequivocabile», e «a prescindere dalle circostanze». Queste le perentorie parole di Anitta Hipper, portavoce della Commissione Ue nel corso del briefing quotidiano con la stampa in merito ai salvataggi dei migranti. 

Recentemente infatti, il trattamento del Bel Paese nei confronti della situazione migranti ha causato accese proteste, nonchè la reazione della comunità europea stessa. A seguito di queste, l'Italia ha recentemente risposto con un piano di richieste all’UE.

L’obiettivo per l'Italia, ribadito più volte da numerosi esponenti della maggioranza, è quello di arginare le Ong e costringere tutti gli Stati membri ad una maggiore responsabilità nella riallocazione dei migranti.

In particolare, essa chiede innanzitutto all’Europa di obbligare gli Stati che concedono la bandiera alle imbarcazioni delle Organizzazioni umanitarie ad occuparsi della redistribuzione dei migranti salvati nel Mediterraneo dalle rispettive navi. Una proposta messa nero su bianco in una dichiarazione congiunta tra Italia, Malta, Cipro e Grecia e perorata dallo stesso ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che proprio oggi è tornato a ribadire che «nel nostro Paese si entrerà solo legalmente». 

Quello che invece al momento appare un punto fisso di un eventuale provvedimento sul fronte interno, al quale cominceranno a lavorare nei prossimi giorni gli uffici legislativi non solo del Viminale ma anche di altri ministeri e di palazzo Chigi, è la stretta sulle organizzazioni non governative. L’idea, sostenuta dall’intera maggioranza, è quella di ripristinare le maximulte e i sequestri abrogati dalla ministra Lamorgese durante il secondo governo Conte. Misure che comunque hanno trovato negli anni diversi ostacoli, dalle sentenze della Consulta all’intervento dello stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ricordava – in fase di firma della legge – il «dovere» del salvataggio dei migranti in difficoltà. Ma non solo. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha rilanciato una sorta di 'Piano Marshall’ per l'Africa che prevede accordi con Libia, Tunisia, Marocco Niger e altri Paesi del Sahel. Accordi, sulla falsariga di quanto accaduto in Turchia – per la quale l’Unione Europea stanziò 6 miliardi di euro – per porre un freno alla migrazione sulla rotta balcanica, che consentirebbero di gestire i flussi migratori direttamente nei Paesi di partenza, realizzando hotspot in Africa, così come più volte proposto dalla stessa premier, Giorgia Meloni.

Da lì poi avviare una selezione delle richieste di asilo e allocare i migranti equamente tra i 27 Stati che fanno parte dell’Unione Europea. 

 Un’altra delle proposte alle quali si sta lavorando, e che probabilmente sarà sul tavolo del vertice dei ministri degli Esteri europei, è quella di redigere un codice di condotta europeo per le ong, partendo magari dal testo varato già nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno italiano, Marco Minniti, e che trovò il sostegno di gran parte dei Paesi dell’Unione, Francia compresa. All’epoca furono poche le organizzazioni a sottoscrivere il documento. Tra loro non c'erano né Medici Senza Frontiere né Sos Méditerranée, le due ong che attualmente stanno operando nel Mediterraneo con le loro rispettive navi. Tra le regole previste dal codice c'era, per esempio, l’impegno a non entrare in acque libiche, quello a «non effettuare comunicazioni o inviare segnalazioni luminose per agevolare la partenza e l'imbarco di natanti che trasportano migranti» ma anche quello a "non trasferire le persone soccorse su altre navi». Infine anche la disponibilità a far salire a bordo funzionari di polizia giudiziaria. 

In attesa di un chiarimento ufficiale con la Francia, l'Italia chiede dunque un’inversione di tendenza agli Stati dell’Unione Europea invitandoli ad una maggiore responsabilità e, come ribadito nella dichiarazione congiunta con i Paesi del Mediterraneo (ad eccezione della Spagna), al rispetto degli impegni sulla relocation dei migranti. E non è escluso, come paventato dallo stesso Tajani, che si possa anche aprire una discussione sulla «modernizzazione» del trattato di Dublino, la convenzione che obbliga i richiedenti asilo a presentare la domanda nei Paesi di primo approdo. Anche se finora ogni tentativo è fallito, così come quello di trasformare da volontaria a obbligatoria la redistribuzione dei migranti nei paesi dell’Unione.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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