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Non solo Ast e Partecipate, ecco tutti gli “assumifici” nascosti della Regione siciliana

Non solo le società con capitale pubblico. Ecco i fronti sensibili: dal Covid ai colossi della sanità privata fino all’assistenza tecnica

Di Mario Barresi |

Sin troppo facile, dopo lo scandalo Ast, sparare sulla Croce rossa delle partecipate. Vero è – come sostengono le opposizioni, compreso chi fino al 2017 aveva gli stessi impicci al governo  – che gli enti di “mamma Regione” sono una giungla di sprechi, inefficienze e talvolta di tentazioni corruttive, come emerso dall’ultima inchiesta giudiziaria. E poi c’è la nuova pacchia dei lavoratori interinali (magari segnalati dai politici) da far entrare dall’ingresso secondario. Per il gip di Palermo l’accordo fra l’agenzia In.Hr. e l’Ast «rappresenta un mero strumento attraverso il quale eludere il divieto imposto dalla Regione Siciliana alle sue imprese partecipate di assumere nuovo personale dipendente». Ma è altrettanto vero che – se si guarda all’aspetto delle assunzioni allegre – i controlli (che non ci sono o sono inefficaci, anche per un freno normativo endogeno) andrebbero estesi anche su altri versanti.

Andiamo con ordine. La letteratura sul disastro delle aziende regionali, in questi ultimi giorni, s’è arricchita di spunti. Ma è bene ripartire dal minuzioso lavoro da “nerd” grillino del deputato regionale Luigi Sunseri. Che ha messo in ordine alcuni dati: 163 fra enti controllati o partecipati (71), organismi strumentali (24), società a partecipazione diretta (13) e carrozzoni in liquidazione (55), spesso perenne. Gli «esempi di mala gestio», nel dossier, si sprecano. C’è Interporti Siciliani, «società di scopo» che in un quarto di secolo non è riuscita a raggiungere lo scopo di completare le infrastrutture a Catania e Termini, caratterizzata da «nomine senza delibera dell’assemblea degli azionisti», e quattro esercizi in perdita sugli ultimi cinque.

Stesso risultato finanziario che Sunseri attribuisce al Parco Scientifico e Tecnologico della Sicilia, che «viola ogni principio di trasparenza». E c’è l’Esa, sul quale Nello Musumeci s’è convertito: da «ultimo vergognoso carrozzone della Prima Repubblica» (definizione in campagna elettorale) a ente ritenuto strategico per l’agricoltura siciliana, affidato al fedelissimo Giuseppe Catania. Anche qui c’è un ritardo con l’orologio della Storia: «Costituito nel 1965 non ha mai portato a termine la riforma agraria iniziata 70 anni fa». E non è certo colpa dell’attuale presidente, Giuseppe Catania, eminente membro del Pizzo Magico, a cui la Regione ha fatto arrivare 22,3 milioni di contributo nel 2020.

Tutte le società hanno quasi 7mila dipendenti (circa il 50% dei regionali), che ogni anno costano circa 250 milioni. Ma, nonostante ciò, c’è un certo affanno nella gestione delle risorse umane. Sunseri denuncia «irregolarità nell’assegnazione degli incarichi» in Interporti Siciliani e segnala – ben prima delfilone d’indagine sugli interinali Ast- che Sicilia Digitale «utilizza la somministrazione come modalità fisiologica di assunzione del personale», con una «percentuale di incarichi che non avviene nel rispetto delle procedure interne».

Le anomalie gestionali e il potenziale malaffare non sono imperscrutabili, per chi sa tenere gli occhi aperti e leggere le carte. Sospetti, sul caso Ast, erano stati avanzati dal M5S con atti ispettivi all’Ars, ma anche dalla maggioranza con Giusi Savarino (Db) e Sergio Tancredi (Attiva Sicilia) in commissione Ambiente.

Chi controlla chi? Marco Falcone, sentito ieri pomeriggio in Antimafia regionale – smentendo che dal suo assessorato siano partite segnalazioni per assunzioni e azzerando i dubbi sulla condotta del suo segretario particolare, Pippo Li Volti, citato nell’ordinanza sull’Ast – ha messo le cose in chiaro: «Ai Trasporti spettano soltanto compiti di vigilanza sul servizio, ma non i controlli sulla gestione dell’Ast, che sono competenza dell’Economia». E magari la prossima settimana, quando sarà audito in commissione, anche Gaetano Armao, oltre a dimostrare gli interventi anti-magagne all’Ast (che emergono anche nelle carte palermitane), potrà sostenere una tesi legittimamente auto-assolutoria: che autorevolezza ed efficacia possono avere dei controlli su enti i cui vertici sono nominati dalla Presidenza della Regione, spesso in base a precisi accordi politici?

Il peccato originale, in questo caso, sta tutto in una legge regionale del 2008, voluta dall’allora governo di Raffaele Lombardo, che centralizza su Palazzo d’Orléans il potere di designare i vertici delle partecipate, lasciando all’Economia l’onere della vigilanza. Un modello ben diverso da quello nazionale, in cui il ministero dell’Economia nomina e controlla allo stesso tempo.

Ma se ci limitassimo alle partecipate come unico fronte d’allarme su potenziali assunzioni “controlli free”, rischieremmo un errore di prospettiva. Al netto delle migliaia di ingressi di personale a tempo determinato per la pandemia (gran parte affidate ai commissari Covid), sulle quali finora non è emersa alcuna anomalia, nemmeno nella relazione dell’Antimafia,  nonostante le procedure per definizione emergenziali, uno sguardo più attento andrebbe rivolto altrove. Ad esempio nella libertà, non sempre vigilata, dei colossi della sanità privata che operano in regime di convenzione con la Regione. Spesso si tratta di realtà d’eccellenza, che arruolano alte professionalità da tutto il mondo, ma magari non sono sempre impermeabili alle sollecitazioni della politica, soprattutto nell’arruolamento di profili medio-bassi.

Una denuncia precisa, in questo senso, la lanciò, all’epoca di Lucia Borsellino assessora, l’ex presidente della commissione Salute, il dem Pippo Digiacomo. E anche chi ha preso il suo posto, la forzista Margherita La Rocca Ruvolo, non ha mai risparmiato dubbi sui big della salute privata che comunque prendono soldi dalla Regione. Bisognerebbe controllare. Con rispetto, ma senza tabù.

Uscendo da questo settore sensibile – in cui per analogia rientrano anche i tre Irccs siciliani; ma anche il Cefpas, braccio armato della formazione sanitaria, diventato il fiore all’occhiello dell’assessore Ruggero Razza – si apre un altro capitolo che forse andrebbe approfondito. Quello delle società di assistenza tecnica. Private o para-pubbliche, che si affidano a personale spesso reclutato in Sicilia. Gli “angeli” che sopperiscono alle carenza della burocrazia regionale su progetti Ue e altre attività specialistiche.

La leggenda, ad esempio, narra che sul tavolo di Musumeci fosse finito un dossier, imbarazzante per alcuni pezzi grossi della maggioranza (e non solo), con l’elenco dei lavoratori del Formez, partecipata statale, messo alla porta a luglio 2021 – e poi in parte ripescato per gestire i concorsi di Cpi e Corpo forestale – con una lettera ai dirigenti in cui segnalava «inadempienze» che l’assessore Roberto Lagalla, sdegnato, definì «attribuibili ad altro ramo dell’amministrazione regionale». Ed è in corso l’altra maxi-convenzione con Deloitte: 23,5 milioni in quattro anni per assistere i dipartimenti regionali nel Fesr. Con consulenti di ogni tipo (dai progettisti ai comunicatori) pagati con tariffe fra 234 e 440 euro al giorno. Nuccio Di Paola, che sarebbe diventato capogruppo M5S all’Ars, a inizio 2020 chiese «l’elenco nominativo dei consulenti» di Deloitte con un accesso agli atti al dipartimento Programmazione. Ma senza ottenere alcunché.

E ora una beffarda legge del contrappasso aleggia sulla cassaforte dei fondi Ue: proprio la Programmazione sarebbe oggetto di un’ipotesi di ridimensionamento (eufemismo) in nome del progetto che circola nel governo regionale: il super-Irfis, nuova frontiera della gestione delle risorse comunitarie e statali. Con quali risorse umane? Con l’assistenza tecnica in house. Grazie a un “concorsone” sul quale si accelera a più non posso.

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