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Santa Teresa, costringevano i dipendenti a restituire in contanti parte dello stipendio: arrestati i proprietari di un supermercato

L'inchiesta della Procura di Messina e delle Fiamme Gialle di Taormina ha fatto emergere una serie di irregolarità. Sequestrati anche 200 mila euro  

Di Redazione |

Costringevano i dipendenti a restituire in contanti parte dello stipendio che veniva loro versato. C’è anche questo nella carte che hanno portato i finanzieri del Comando Provinciale di Messina, a notificare una misura cautelare nei confronti di quattro persone appartenenti ad una nota famiglia dell’imprenditoria messinese della fascia jonica peloritana, finiti agli arresti domiciliari. I provvedimenti sono stati chiesti dalla Procura di Messina e disposti dal gip del Tribunale.

Le manette sono scattate per quattro membri della famiglia Saglimbeni di Santa Teresa di Riva, proprietaria del supermercato “Decò”: Carmelo Saglimbeni di 74 anni, le sue figlie Provvidenza di 490 anni e Carmen di 43, e per Domenico Saglimbene 70 anni.

In particolare ai quattro viene contestato di aver promosso e costituito una strutturata organizzazione criminale, dedita alla commissione di condotte estorsive ai danni dei propri dipendenti. Le indagini svolte delle Fiamme Gialle della Compagnia di Taormina, che hanno anche raccolto le denunce dei lavoratori vessati, hanno documentato il sistematico ricorso a schemi di fittizio pagamento degli emolumenti: mensilmente i lavoratori venivano obbligati alla restituzione – in contanti – di quota parte dello stipendio solo formalmente loro corrisposto. Parimenti, approfittando del loro stato di bisogno, analoghi illegittimi comportamenti si documentavano con riferimento alla sistematica violazione della normativa relativa all'orario di lavoro ed ai riposi spettanti. L’esame La disamina della documentazione extracontabile trovata – tra cui diversi inequivoci “pizzini”, agende e prospetti di calcolo – ha permesso di ipotizzare l’esistenza di una vera e propria struttura organizzata.

Approfondimenti documentali ed intercettazioni telefoniche, hanno poi chiarito come gli imprenditori, avessero fatto del “ricorso a minacce e soprusi” nei confronti dei lavoratori dipendenti, “un vero e proprio metodo di lavoro”. Del resto, presupposto imprescindibile per l’avvio e la prosecuzione dei rapporti lavorativi risultava proprio l’accettazione, da parte dei dipendenti, di condizioni contrattuali palesemente squilibrate, “lasciando chiaramente intendere che ove non avessero accettato la proposta non sarebbero stati assunti ovvero che sarebbero stati licenziati”.

Il gip ha anche sequestrato beni per 200 mila euro perché le indagini hanno anche accertato che gli indagati reinvestissero i proventi illeciti nell’acquisto di terreni.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA