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Sentenza “trattativa”, la procura valuta il ricorso in Cassazione

I magistrati attendono di leggere le motivazione ella sentenza emessa dai giudici della corte d'appello di Palermo

Di Lara Sirignano |

Rifletteranno sul da farsi e, solo dopo aver letto le motivazioni della sentenza, decideranno se ricorrere in Cassazione. A 24 ore dalla debacle, che avevano cercato di scongiurare infilando in un dibattimento monstre, durato cinque anni solo in primo grado, nuovi pentiti dalla dubbia crediblità e migliaia di pagine di documenti, la Procura generale ripete la formula di rito che ogni parte processuale pronuncia dopo la sconfitta. «Parlare di impugnazione ora sarebbe un passo in avanti assolutamente inopportuno», dice Anna Palma, avvocato generale che, da quando Roberto Scarpinato ha lasciato libera la poltrona della Procura generale, fa le funzioni del capo.   La pubblica accusa, che ha perso un processo stravinto dai colleghi del primo grado, è cauta. Vuole vedere come i giudici della corte d’assise presieduta da Angelo Pellino spiegheranno perché alla storia della trattativa tra lo Stato e la mafia proprio non hanno creduto. E perché, dunque, con un verdetto che ha spiazzato molti, hanno deciso di assolvere gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno e l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri dal reato di minaccia a corpo politico dello Stato. Una sentenza che alcuni definiscono «coraggiosa» che potrebbe riscrivere – il condizionale è d’obbligo in assenza di motivazioni – la storia processuale di una delle fasi più drammatiche della storia recente: quella delle stragi di mafia.   Da quanto si può capire dal dispositivo, per la Corte d’assise i carabinieri cercarono sì il dialogo con i mafiosi, ma per far cessare le stragi e non per veicolare alle istituzioni l'intimidazione di Cosa nostra. Ancor più netta la decisione su Dell’Utri che, secondo l’accusa, sarebbe subentrato nella seconda fase della trattativa e avrebbe fatto giungere il messaggio della mafia al governo Berlusconi. Secondo i giudici, l'ex senatore «non ha commesso il fatto».   Del reato sono stati ritenuti colpevoli invece i due boss imputati, lo stragista corleonese Leoluca Bagarella, e Nino Cinà, l’uomo che avrebbe recapitato il fantomatico papello, il pizzino con le richieste alle quali Totò Riina avrebbe subordinato la fine delle bombe.   

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