Che l’eccidio di ieri mattina in contrada Safarello affondi le radici in dissapori familiari legati a questioni patrimoniali, è reso chiaro anche dal racconto di una familiare di Alessandra Ballacchino, la giovane donna ammazzata insieme con il marito e i figli. «Tra i due fratelli c’erano frizioni da parecchio tempo. Prima abitavano nello stesso palazzo. Ma litigavano in continuazione per la divisione di alcune proprietà agricole. E alla fine Alessandra ha deciso di andare a vivere qui in campagna, pur di non avere nulla a che fare con quel pazzo».
Uno dei motivi che ha scatenato la furia omicida di Angelo Tardino – ma tutto è al vaglio degli inquirenti – sarebbe nella gestione e nell’utilizzo di un appezzamento di terreno coltivato a carciofi. Una lunga disputa sull’utilizzo di quel carciofeto sfociata nella strage di ieri. «Perché ha aperto la porta a quel maledetto assassino? Diego venne a vivere in campagna, non voleva più avere a che fare con quel pazzo – le parole strappate alla cugina giunta sul posto subito dopo aver appreso la notizia – Siamo sconvolti. Non ci saremmo mai aspettati questa tragedia. Perché Diego ha aperto la porta a quell'assassino?».
Sembra infatti che ieri mattina non ci sia stata una lite ma che Angelo Tardino sia arrivato, poco prima delle sette, con l’intenzione di uccidere il fratello e la sua famiglia. Avrebbe sparato al fratello Diego Tardino prima a distanza e poi da vicino. Dopo è entrato a casa e ha ucciso la cognata, con almeno quattro proiettili, e poi Alessia e Vincenzo. Il piccolo è stato trovato sotto il letto, avvolto in una coperta.
Dolore misto a rabbia, la rabbia di non aver potuto nemmeno dare il saluto finale alle vittime della barbara furia omicida. «Perché non ci hanno permesso di dare un ultimo saluto ai nostri cari? – dice piangendo la cugina di Alessandra Ballacchino – volevamo solo salutarli. Povere creature».
Già, povere creature. Alessia, di 15 anni, Vincenzo di soli 11 anni. Chiunque li avesse conosciuti, compagni di scuola, dirigenti scolastici, professori, tutti parlano di loro come di due ragazzi davvero squisiti: buoni, molto educati, rispettosi, allegri e disponibili sempre. Figli di una famiglia di grandi valori e sicuramente cresciuti nel migliore dei modi possibile dai genitori con cui hanno condiviso l’assurda fine di ieri.
Alessia e Vincenzo Tardino, studenti rispettivamente del Liceo “Linares” e della scuola media “Guglielmo Marconi” lasciano un vuoto enorme tra i compagni e gli insegnanti che ne hanno seguito il percorso formativo nella loro ancora brevissima carriera scolastica.
«La dirigente scolastica e l’intera comunità del Liceo Linares hanno appreso con sgomento e costernazione la notizia dei terribili fatti di sangue accaduti a Licata ieri mattina. Tra le giovani e innocenti vittime anche una solare e splendida studentessa del nostro istituto – il post della dirigente del Linares Ileana Tardino – Non ci sono parole per esprimere quanto grande sia il dolore e quanto profondo il buio che sentiamo nei nostri cuori. Ai familiari delle vittime la nostra vicinanza e le nostre più sentite condoglianze».
Secondo quanto riportato da alcune fonti, Alessia avrebbe confidato ai compagni di classe i dissidi tra il padre e lo zio Angelo per i terreni. «Oggi, cercando di parlare con i suoi compagni – racconta la professoressa Floriana Costanzo, l’insegnante di italiano -, ho saputo che la sua amica del cuore diceva che Alessia aveva detto che c’erano screzi tra il papà e lo zio». Forse però la ragazza non pensava si trattasse di qualcosa che avrebbe potuto portare a un gesto così grave. «Se fosse stato un problema reale ce lo avrebbe detto. I ragazzi si confidano con noi».
Col cuore spezzato dal dolore il commento di Tiziana Alesci, docente del Comprensivo Marconi e professoressa di Lettere del piccolo Vincenzo Tardino. «Era un bambino allegro, generoso, pieno di voglia di vivere. L’avevo visto il giorno prima in classe e nulla faceva presagire questa tragedia immensa. Anche la mamma, Alessandra, era una ragazza sempre presente nell’attività della scuola. Curava tantissimo Vincenzo, anche quando abbiamo avuto a scuola la sorella, Alessandra. Una famiglia molto presente. Ho cercato di mettere insieme i pensieri, ma dalle 9 di questa mattina la mia mente si è fermata… solo lacrime e impotenza. Come accettare tanta violenza? Come spiegare a dei ragazzi pieni di vita e di gioia che la vita, a volte, è crudele? Se mi chiedessero un aggettivo per descriverti? “Buono”, perché così eri in ogni momento e in ogni cosa che facevi. Vola in alto Vincenzo, tra le stelle più belle, insieme alla tua meravigliosa famiglia. Il tuo sorriso accompagnerà per sempre le nostre vite».
La gente di Licata è rimasta attonita per quanto accaduto a tutti i livelli: la politica, il mondo della scuola, lo stesso popolo destato dall’agghiacciante notizia quando ancora si era all’ora della colazione, al bar o a casa. Con le notizie diventate via via sempre più gravi, con la conta dei morti cresciuta di ora in ora e con un bilancio pesantissimo andatosi poi a completare nel pomeriggio di ieri con il decesso al Sant’Elia di Caltanissetta del fratello omicida.
«No, non ce ne sono parole – uno dei commenti che abbiamo raccolto in uno dei tanti bar del centro dall’anziano Vincenzo Cicatello – non può essere che un fratello ammazza un altro fratello, sangue del suo sangue e tutta la sua famiglia. Che cosa sta succedendo in questo mondo?». Un commerciante che ha avuto recentemente modo di servire Tardino all’interno di un locale pubblico (e che per privacy ha preferito restare anonimo) ci ha raccontato un episodio avvenuto qualche settimana fa. «Avevo notato che non fosse completamente sereno. È una sensazione che non so spiegare ma mi è parsa una persona che avesse qualche problema anche dal modo in cui si comportava. Apprendere quanto successo ieri mattina è una mazzata incredibile che non può avere alcun tipo di giustificazione possibile. Sono sconvolto, conoscevo tutte e due le famiglie». Una città che fatica giustamente a tornare alla quotidianità e in cui il lutto cittadino è più un sentimento che un atto da proclamare.
Ci si chiede come è possibile compiere una strage così efferata per soldi. I parroci di Licata Pino Agozzino, Tommaso Pace, Salvatore Licata, Leopoldo Argento, Gaetano Vizzi, Stefano Principato, Salvatore Cardella, Angelo Fraccica, Francesco Burgio e Giovanni Scordino provano a dare una lettura: «Riaffiora il dramma di Caino – hanno scritto in una nota – specchio di una società malata e confusa che cerca "il profitto" calpestando il diritto alla vita. Come comunità ecclesiale non possiamo tacere; abbiamo il dovere di annunciare il Vangelo della misericordia, del perdono, del rispetto per la vita, dal suo nascere al suo naturale compimento, di affermare, soprattutto, il primato dell’essere sull'avere».