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Ponte Stretto, il governo dal no al “boh” Frenata sulla Rg-Ct: ecco cosa c’è dietro

Di Mario Barresi |

Non è nel contratto di governo. E dunque, per la nuova metafisica dell’era gialloverde, non esiste. Ma, visto che stiamo parlando del Ponte sullo Stretto – l’opera virtuale e utopica per antonomasia, da decenni ciclico spot elettorale, cavalcato anche da Silvio Berlusconi e Matteo Renzi giusto per citare i più recenti leader- la cosa non ci sorprende. Eravamo rimasti alla fiammata di Nello Musumeci («Non è un capriccio, è essenziale: il governo non balbetti sul tema») con secchiata di acqua gelida dal sottosegretario cinquestelle alle Infrastrutture, Michele Dell’Orco («Vuole una posizione netta del governo sul Ponte? Eccola: No»), con controreplica al vetriolo del presidente della Regione allo «sprovveduto» esponente del governo: «Ha perso un’occasione per tacere. Spero straparli a titolo personale».

Ma ieri, più o meno a sorpresa, la Lega ha riaperto il dossier. Con un pezzo grosso del governo: Armando Siri, anch’egli sottosegretario alle Infrastrutture, oltre che guru economico di Matteo Salvini (è l’ideologo della flat tax). Non un leghista qualsiasi, dunque, ha pronunciato queste parole: «Non è una cattedrale nel deserto il Ponte. Non sono qui per fare slogan, il Ponte è utile al Paese». Perché, sostiene fra gli applausi dei Sì Ponte, «non serve per far incontrare il fidanzato di Reggio Calabria con la fidanzata di Messina, ma è un’infrastruttura utile al Paese, se si pone all’interno di in una strategia che vede l’Italia al centro dei traffici del Mediterraneo, di cui la Sicilia sarebbe il naturale hub delle merci che arrivano dal canale di Suez». È tutto vero. E succede ieri a Messina, al convegno “Sicilia e Italia: un progetto di coesione e condivisone”, organizzato da Rete civica per le infrastrutture del Mezzogiorno. Siri, poi, usa la solita formula – nel gioco delle parti fra Lega e M5S – per dire “vorrei ma non posso”: «Nel contratto di governo non è previsto un punto specifico sul ponte». Ma sussurra: «Il contratto però non è immutabile, è possibile arricchire l’offerta mettendo sul tavolo proposte che portino valore aggiunto». E poi confessa: «Se dovessi decidere io sarebbe facile realizzarlo, ma in Parlamento siamo mille. È una cosa complicatissima, il problema è la filiera decisionale, non le risorse economiche. Io parlerò con i colleghi per spiegare il valore dell’iniziativa, ma non posso fare di più, devo essere onesto». Che ci sia uno spiraglio fra gli (ex?) alleati, lo dimostra anche la proposta di Matilde Siracusano, deputata di Forza Italia: «Cosa aspetta il ministro Toninelli a istituire la tanto amata Commissione Ponti, che valuta i costi e benefici sull’infrastruttura dello Stretto?».

L’atteggiamento “laico” di Salvini sul Ponte non è una novità. Fu lo stesso leader, in un’intervista pubblicata su “La Sicilia” il 16 luglio 2015, ad ammettere di aver dato il via libera a un’interpellanza dell’allora deputato Angelo Attaguile che chiedeva di riaprire la partita, «partendo dalla considerazione che il costo della mancata realizzazione è talmente alto che comunque conviene farlo. Naturalmente con tutte le accortezze e i controlli del caso». E la conferma che questa, oggi più che mai sia la linea del “Capitano”, lo conferma la nota di Fabio Cantarella, assessore a Catania, fra i salviniani di Sicilia più in ascesa, che invita «a mettere da parte la propaganda» e a «immaginare il ponte come elemento di un complessivo ammodernamento ed efficientamento del sistema infrastrutturale siciliano».

E i grillini No Ponte? Al convegno di Messina il capogruppo dei 5 Stelle alla Camera Francesco D’Uva, che, dopo aver inarcato le sopracciglia durante il discorso di Siri, si mantiene sul vago: «Non è il caso di Rete Civica che sostiene da sempre e sempre il progetto del Ponte, ma mi dà fastidio chi si sveglia alle elezioni e promette la realizzazione del Ponte sullo Stretto. Noi non prometteremo nulla».

Dal quasi sì al quasi no. Gaetano Armao, pure fra i relatori, ha gioco facile, oltre che la battuta pronta: «È l’ennesima dimostrazione di quanto il governo sia bipolare, in senso psicologico, prima che politico». Il vicepresidente della Regione rilancia «la valenza dell’opera come anello del corridoio scandinavo-mediterraneo», definendola «strategica per l’Europa e per l’Italia, prima ancora che per la Sicilia». A Messina c’è anche un altro assessore regionale: Marco Falcone, titolare delle Infrastrutture, che infiamma la sala. «I grillini al presidente Musumeci hanno detto: “Niente Ponte, pensi alle strade”. Ebbene, alle strade, così come alle ferrovie, dovrebbero pensarci loro, a Roma. E sapete quanto abbiamo avuto da questo esecutivo da aprile a oggi per le infrastrutture? Zero euro». Falcone, forzista di destra mai tenero col Pd, ammette, come margine di paragone, che dal precedente governo, «da dicembre 2017 al 31 marzo 2018 arrivarono 1,8 miliardi di opere col via libera del Cipe». L’assessore, ricordando i «440 milioni tolti alla Sicilia nel fondo sulle periferie», rivendica il successo di aver inserito – nei 715 milioni di risorse europee certificate dalla Regione, «ben 460 milioni sulle infrastrutture, soldi che l’Europa dà alla Sicilia e non lo Stato». E infine denuncia lo stallo dei progetti sull’asse Palermo-Roma «a causa del blocco, da oltre un mese e mezzo, del Provveditorato delle opere pubbliche».

Falcone, nel suo intervento, accenna a un’altra opera “impossibile”: il raddoppio della Ragusa-Catania. «Noi siamo disponibili a metterci tutto l’impegno e i soldi necessari, adesso è il governo nazionale che deve dirci cosa vuole fare, dopo l’ultimo intoppo». Non aggiunge altro, sul palco di Messina. Il non detto si riferisce alla fumata nera, giovedì al Cipe, sull’approvazione del progetto esecutivo. Danilo Toninelli ha rinviato il via libera preannunciato trionfalmente, con tanto di diretta social, dalla collega Barbara Lezzi lo scorso 20 dicembre: «La Ragusa-Catania è una realtà». E invece no. Il ministro delle Infrastrutture s’è preso almeno un altro mese di tempo «allo scopo di tutelare l’interesse pubblico e l’adozione di un sistema tariffario davvero sostenibile per l’utenza», su richiesta del ministero dell’Economia.

Delusi i sindaci del sud-est presenti. Il più importante, Salvo Pogliese, non riesce però a essere disfattista: «Rimaniamo in guardia anche se siamo tendenzialmente soddisfatti dell’atteggiamento propositivo del governo – dice il primo cittadino forzista di Catania – perché sono state trattate anche le ultime criticità sollevate nei mesi scorsi dal Mef in sede di pre-Cipe, rilievi che il governo nazionale stesso al suo massimo livello ha definito solo “formalità”, programmando tra un mese la seduta finale di approvazione, momento finale su cui saremo intransigenti».

Ma cosa sta succedendo davvero? Il governo, l’autostrada Ragusa-Catania, la vuole fare, e il M5S ci ha messo la faccia: persino il premier Giuseppe Conte ha fatto capolino, giovedì, nell’incontro fra sindaci e ministri. Il problema, secondo accreditate fonti, starebbe nei dubbi che a Roma nutrono sul privato chiamato a costruire (e poi a gestire in project financing) l’opera: il gruppo Bonsignore, secondo un dossier sui tavoli ministeriali, ha la “colpa” di aver aperto mega-contenziosi in passato. La Sarc, società in campo sulla Rg-Ct, ha sempre rassicurato su piano finanziario e sostenibilità dell’opera. Ma fra i tecnici del Mef e del Mit qualcuno sostiene che «questi qui si presenterebbero nel cantiere aperto con più avvocati che operai». Allora c’è un piano B. E anche un piano C. La Regione, semmai il nodo fosse il costo delle tariffe per gli automobilisti, ha assicurato l’affiancamento del Cas ai privati per calmierare i costi per gli utenti. Ma, se davvero il problema fosse il contraente, ha informalmente fatto un altro passo. Dicendosi pronta a sborsare, dopo i 366 già assicurati, altri 400 milioni per costruire l’opera. A testimonianza che non sono soltanto rumors c’è anche una stima ministeriale sul costo del progetto da rimborsare al gruppo Bonsignore: circa 10 milioni l’offerta iniziale, con la possibilità di arrivare fino a 20. Purché l’autostrada maledetta parta. Il prima possibile.

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