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L'UDIENZA

Processo Centauri, gli esponenti dei Cursoti-Milanesi decidono di parlare e spiegano le intercettazioni dopo la sparatoria di Librino

Giuseppe Ardizzone e Gabriele Piterà hanno scelto di non avvalersi della facoltà del silenzio

Di Laura Distefano |

Hanno deciso di parlare. Anche se prima Giuseppe Ardizzone e Gabriele Piterà, indicati dalla magistratura come esponenti dei Cursoti-Milanesi, hanno voluto sapere dalla presidente della Corte d’Assise Maria Pia Urso quale sarebbe stato il fulcro delle domande. Quando hanno capito che i quesiti giravano attorno ad alcune intercettazioni riferenti alla sparatoria dell’8 agosto 2020 hanno scelto di non avvalersi della facoltà del silenzio.

Un’altra udienza del processo Centauri è stata dedicata all’assunzione della “prova dichiarativa” (per usare il gergo tecnico) di alcuni testimoni citati al termine della fase istruttoria. La conversazione al centro delle domande poste dalla Corte è quella captata il 21 agosto 2020, quindi pochi giorni dopo il duplice omicidio del viale Grimaldi, e finita nell’ordinanza di custodia cautelare della Squadra Mobile Zeus. La presidente l’ha letta parola dopo parola:

L’intercettazione

Ardizzone: È un cornuto e sbirro – piangendo – è un Carabiniere. Ha rovinato una famiglia. Mio padre ha la testa spaccata ed ha tentato il suicidio. Tutta la mia famiglia si è rivoltata.

Piterà: ..e perché non lo fanno ritrattare?

Ardizzone: ..e loro stanno tentando di farlo ritrattare perché gli hanno mandato a dire: “Cornuto e sbirro che sei. Quello ci ha dato la vita, la galera te la devi fare lo stesso perché ti sei accollato il morto ed hai rovinato a quello che per te ha dato la vita e non è neanche vero quello che hai detto”.

Le domande

Ad Ardizzone la Corte ha immediatamente chiesto a chi si riferisse. Il teste ha cominciato a raccontare che i fratelli Sanfilippo, Ninni e Michael, sarebbero andati a trovarlo a casa mentre era ai domiciliari per lamentarsi del comportamento del fratello Carmelo diventato dopo la sparatoria collaboratore di giustizia. «Mi hanno raccontato che era un infame, che stava rovinando delle persone che con centravano niente. Parlavano in generale», ha detto Ardizzone, ma poi sollecitato dalla giudice Urso ha specificato che «loro sicuramente si riferivano a Carmelo Di Stefano che sarebbe stato incolpato dal fratello Carmelo. Inoltre i due avevano raccontato di aver sparato. Ninni si vantava e Michael mi ha detto che aveva colpito forse Enzo Negativa, ma non mi ricordo bene».

A prendere la parola poi è stato il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo, che rappresenta l’accusa assieme al pm Alessandro Sorrentino. Il magistrato ha chiesto dei chiarimenti, visto che l’intercettazione incriminata fa riferimento a una telefonata e non ad una visita a casa come affermato dal teste. Ardizzone ha precisato che del discorso del fratello collaboratore aveva parlato sia al telefono che di presenza con i Sanfilippo.

La notizia che Carmelo Sanfilippo aveva deciso di entrare nel programma di protezione è diventata “pubblica” con l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare del gip nei confronti di Carmelo Di Stefano del 16 agosto 2020 a seguito dei fermi di qualche giorno prima.

Risposte vaghe

Piterà è stato molto vago: «Girava voce che Sanfilippo quello della sparatoria – il nome preciso non lo so perché non li conosco – aveva accusato ingiustamente Di Stefano». Fonzo ha chiesto la parola alla Corte e ha domandato come faceva a parlare Piterà al telefono con Ardizzone visto che il 21 agosto era detenuto. «Avevo un cellulare», ha risposto sapendo che questo aspetto era già venuto fuori nelle indagini.

La parte centrale dell’udienza è stata riservata all’esame di diverse donne che abitano nel palazzo dove, come hanno raccontato i pentiti, Sanfilippo, Di Stefano e Campisi si sarebbero rifugiati chiedendo aiuto e soccorso la sera dopo le pistolettate. Ma tutte le signore, di cui una in stato di gravidanza, hanno negato questa circostanza. Nella prossima udienza, fissata per il 27 marzo, saranno citate altre due residenti che oggi non si sono presentate.

Il confronto con il pentito

La Corte ha sospeso l’udienza per qualche minuto prima di riprendere con l’atteso confronto tra il pentito Carmelo Liistro, ex delfino di Massimo Cappello, e Santo Guzzardi, già condannato in abbreviato nel processo Centauri. Il collaboratore ha ribadito di aver saputo da Guzzardi, qualche giorno dopo la sparatoria, che il padre Luciano era un miracolato perché nonostante le ferite delle pallottole era ancora vivo. Inoltre gli avrebbe raccontato che Carmelo Di Stefano aveva finito le pallottole nel caricatore e per questo lo aveva colpito con una pietra esclamando “macari tu ci si (tradotto dal dialetto anche tu ci sei?)”.

Le ammissioni

Guzzardi ha ammesso di aver raccontato a Liistro del fatto che il padre si era salvato con miracolo ma nega di aver fatto nomi su chi aveva sparato. Liistro ha pero la parola dicendo: «Presidente ma è normale che ora non può fare nomi e accusare persone. Io avendo fatto la scelta di collaborare non ho più un codice criminale da rispettare ma lui sì». Il processo, comunque, contro i Cursoti Milanesi che avrebbero partecipato allo scontro armato contro i Cappello quel sabato di fuoco di due anni e mezzo fa a Librino è alle battute finali. Il 17 aprile, infatti, comincerà la requisitoria dei pm.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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