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Quando la mafia imbottì di tritolo la villa di Pippo Baudo

Correva l'anno 1991. La Falange Armata rivendicò l'attentato. Il ricordo del procuratore Puleio che coordinò le indagini iniziali.

Laura Distefano

19 Agosto 2025, 12:45

attentato santa tecla Pippo Baudo

Il tritolo prima di Capaci la mafia lo piazzò nella villa di Pippo Baudo a Santa Tecla, frazione marinara di Acireale. Era la notte fra il 2 e il 3 novembre 1991. Il presentatore quando esplose l’ordigno era lontano dalla Sicilia: aveva preso da poche ore l’aereo per Roma. Lo aspettavano in Rai per un’altra puntata di Domenica In. Ma appena seppe che la sua casa era un mucchio di macerie tornò immediatamente a vedere quello che era accaduto. Accanto alla villa sventrata trovò investigatori e cronisti. L’attentato venne rivendicato dalla Falange Armata. Al centralino dell’Ansa di Palermo arrivò una telefonata: «Il presentatore di spettacoli può considerarsi un uomo fortunato». Quella voce senza alcuna inflessione dialettale fece riferimento al duplice omicidio degli industriali Francesco Vecchio e Alessandro Rovetta, avvenuto esattamente un anno prima. I due manager però ebbero un destino diverso da quello di Pippo Baudo. L’artista collegò l’attentato alle dichiarazioni fatte contro i clan mafiosi a Taormina durante le celebrazioni per l’assassinio del giudice Rocco Chinnici. Ma la pista ufficiale legò le bombe di Santa Tecla alle parole che Baudo pronunciò nella storica staffetta televisiva fra Samarcanda di Michele Santoro e il Maurizio Costanzo Show dedicato al ricordo di Libero Grassi, ucciso per aver detto no al pizzo. Il presentatore, scomparso sabato sera, chiese leggi speciali contro la mafia. Il tritolo fu una punizione e anche un avvertimento. A ordinare quell’attentato il clan Santapaola-Ercolano. Era il 1991, il padrino di Catania Nitto era latitante e il nipote Aldo Ercolano era la sua mano operativa. Le indagini e le rivelazioni di un pentito portarono a scoprire che a occuparsi dell’attentato a livello logistico e organizzativo fu Sebastiano Sciuto, detto Nuccio Coscia, morto alcuni anni fa. Era il referente di Cosa Nostra nella fascia acese.

Il racconto del procuratore Puleio


Il procuratore di Ragusa, Francesco Puleio, era un giovane sostituto a Catania all’epoca. Si occupò del caso. «Quella notte ero di turno agli affari urgenti alla Procura di Catania. Allora - racconta Puleio a La Sicilia - ero il più giovane sostituto in servizio, e fui avvertito dell’attentato che aveva distrutto la villa di Pippo Baudo. Ricordo che intervenni sul luogo. La casa, bellissima, era ridotta a un cumulo di macerie. Poi incontrai anche il presentatore, allora all’apice della sua popolarità, che sentii su quei fatti. Ricordo che mi rispose con grande disponibilità e con la consueta cortesia. Il mio assistente di allora gli fece firmare 12 pagine di verbale e un foglio in bianco con l’autografo per la moglie». L’indagine fu complicata: le intercettazioni chieste dal pm non furono autorizzate. «Ricordo che chiesi ai vertici dell’epoca della Procura di intercettare il telefono di Pippo Baudo, per verificare se avesse ricevuto minacce o se qualche malavitoso avesse cercato di mettersi in contatto con lui. Ma l’intercettazione mi fu negata e non ebbe mai corso. Devo dire che non fu una pagina luminosa della storia della Procura di Catania. Erano altri tempi. Quando, dopo qualche tempo, la cosa venne fuori, fu lo stesso Baudo, dando prova della consueta intelligenza e lungimiranza, a dirsi stupito del fatto di non essere stato messo sotto controllo». La svolta arrivò qualche anno più tardi. «Un collaboratore di giustizia riferì il movente e le modalità dell’attentato. Ed è significativo che venne utilizzata la rivendicazione “Falange armata” , che era la sigla concordata nella famosa riunione di Enna da Totò Riina e dai suoi accoliti per rivendicare gli attentati che stavano insanguinando il nostro Paese».