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Quelle carceri colabrodo dove i mafiosi in cella comunicano in chat con i cellulari criptati

E' emerso nelle carte della maxi operazione antimafia a Palermo. L'allarme del procuratore Melillo

Di Redazione |

La maxi operazione antimafia messa a segno dai carabinieri a Palermo con l’arresto di 181 persone ha fatto emergere una serie di falle nel sistema carcerario. Grazie a cellulari criptati introdotti in carcere illegalmente infatti, diversi boss detenuti hanno potuto creare vere e proprie chat di gruppo con altri mafiosi, alcuni liberi, altri in cella, per parlare indisturbati di affari. Gli investigatori hanno intercettato due indagati che, quando si sono accorti del malfunzionamento dei loro dispositivi, hanno fatto ricorso a un altro apparecchio ugualmente criptato. Nel cercare di ripristinare il sistema e, quindi, di memorizzare i contatti riservati, hanno finito per rivelare i nominativi dei loro interlocutori dando involontariamente agli inquirenti indicazioni fondamentali. Molti dei nomi indicati appartenevano ai vertici dei mandamenti di Tommaso Natale-San Lorenzo, di Santa Maria di Gesù e di Porta Nuova. In particolare, secondo i magistrati, appartenevano alla rete protetta di comunicazione, oltre ai due interlocutori, Nunzio Serio, detenuto e reggente del mandamento mafioso di San Lorenzo-Tommaso Natale e il fidato Francesco Stagno, il calabrese Emanuele Cosentino, referente nel traffico di droga, Tommaso Lo Presti, boss del clan di Porta Nuova («il Pacchione… ora fa quarant’anni di matrimonio» dicono di lui i due intercettati), Guglielmo Rubino, reggente di Santa Maria di Gesù («Guglielmo per noi si leva la vita», commentavano), Cristian Cinà, della famiglia di Borgo Vecchio («Cristian Borgo Vecchio», si sente nel dialogo), e Giuseppe Auteri, a quel tempo latitante. Tra i soggetti inseriti nell’apparato criptato, c’era anche Angelo Barone («Orso dice che non c’è stato s’arricampo, è stato a Malta…» spiegano), alludendo all’imprenditore che ha navigato Cosa nostra nell’era dei nuovi affari dei giochi online.

«Da questa straordinaria indagine della Procura di Palermo viene fuori un dato allarmante: l’estrema debolezza del circuito penitenziario di alta sicurezza che dovrebbe contenere la pericolosità dei mafiosi che non sono al 41 bis. L’inchiesta di Palermo mostra chiaramente, confermando quanto emerso in altri contesti investigativi, che il sistema di alta sicurezza è assoggettato al dominio della criminalità» ha detto il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo durante la conferenza stampa sul blitz antimafia che ha portato in cella 181 persone. «E’ un tema delicato che deve aprire una riflessione profonda», ha aggiunto.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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