Sconcerto e indignazione per le parole di Riina jr, lo speaker del podcast: «La mafia ci fa schifo»
Il figlio del defunto boss di Corleone ha difeso la figura del genitore sostenendo la sua estraneità alla strage di Capaci
Si sta sollevando un'onda di indignazione generale per le dichiarazioni di Salvo Riina jr, che ieri ospite di un podcast on line, ha dichiarato che il padre, Totò Riina, non sarebbe stato il responsabile della strage di Capaci in cui rimasero uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti di scorta.
"L'Ordine dei giornalisti di Sicilia prende atto con sconcerto dei contenuti di una chiacchierata fra i conduttori di un podcast trasmesso sul web e il figlio del sanguinario boss mafioso, Totò Riina. La chiacchierata, che non possiamo considerare intervista sia perché i conduttori del podcast non sono giornalisti sia perché il figlio di Riina ha potuto incensare il padre senza che nessuno dei presenti ricordasse le condanne del padre passate in giudicato e i reati a esse connessi, vene considerata un’offesa alle vittime di Riina, a quelle di mafia più in generale e a tutta la categoria dei giornalisti. Con particolare riferimento a quei colleghi che quotidianamente svolgono con professionalità questo mestiere, rischiando la propria incolumità e, a seguito dell’uso e dell’abuso dello strumento della querela, anche i propri patrimoni. L'Ordine dei giornalisti di Sicilia invita tutte le autorità interessate a verificare se nel corso del podcast possano essere riscontrate fattispecie di reato e, per proprio conto, si muoverà per verificare il configurarsi del reato di esercizio abusivo della professione". Così, in una nota l’Ordine dei giornalisti si Sicilia.
«Le parole del figlio di Totò Riina, sempre alla perenne ricerca di visibilità, sono feroci e crudeli come la storia della sua famiglia. Nessuna ricostruzione fantasiosa potrà mai trasformare dei boss mafiosi in presunti uomini da ammirare». Lo afferma la presidente della commissione Antimafia, Chiara Colosimo.
«Siamo al tragico paradosso - aggiunge - di trovarci davanti a una pseudo morale mafiosa che cerca di dare lezioni sociali, come se nessuno conoscesse la storia criminale dell’uomo. Una storia che invece di essere annientata definitivamente, trova ancora spazio nel nostro dibattito pubblico. Lo Stato ha vinto, loro hanno perso. Questa è una verità che nessuno mai potrà cancellare».
«Le dichiarazioni del figlio di Totò Riina sono gravissime e offensive non solo nei confronti della memoria di Giovanni Falcone e delle vittime della mafia, ma anche verso tutti i siciliani che ogni giorno lottano per affermare la legalità. Non accetto che si provi a riscrivere la storia con falsità indegne: Falcone è stato ucciso perché era il simbolo della lotta alla mafia, punto». Lo dice il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani.
«La Sicilia - prosegue - non dimentica e non permetterà mai che si tenti di minimizzare la responsabilità di chi ha seminato morte e terrore nella nostra terra. La nostra comunità continuerà a trarre forza dall’esempio di Falcone, Borsellino e di tutti gli eroi caduti per la giustizia, respingendo con fermezza chi tenta di infangarne la memoria».
«Le parole pronunciate in un’intervista da Giuseppe Salvatore Riina sono deliranti, false e profondamente offensive per Palermo, per la Sicilia e per la memoria collettiva di chi ha pagato con la vita il proprio impegno per la legalità. Negare l’evidenza storica e giudiziaria sull'omicidio di Giuseppe Di Matteo, infangare la memoria di Giovanni Falcone e screditare chi ogni giorno combatte la mafia, equivale a riscrivere la storia in modo vigliacco e strumentale». Lo dice il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla.
«Palermo conosce bene il dolore causato da Cosa nostra e non permetterà che la voce di chi tenta di riabilitare l’orrore mafioso trovi spazio o legittimazione pubblica - aggiunge - La nostra città sta voltando pagina, anche grazie al sacrificio di magistrati, forze dell’ordine, giornalisti, imprenditori e semplici cittadini. A questi eroi silenziosi va il nostro rispetto e il nostro ricordo. A chi cerca visibilità, riabilitando il passato criminale della propria famiglia, Palermo risponde con il silenzio del disprezzo. Alcuni nomi non meritano alcuna ribalta, né attenzione».
«Far raccontare la sua versione dei fatti al figlio del capo dei capi, lo riconosco, è stata un’azione insidiosa. A nome mio, de lo Sperone podcast e di tutti i ragazzi che ci lavorano dietro le quinte, informo che noi ci discostiamo da qualsiasi sistema mafioso e da qualsiasi pensiero mafioso. Schifo la mafia e il suo sistema da prima che diventassi uomo, da quando ero bambino tra i banchi di scuola». Lo dice lo speaker Gioachino Gargano replicando alle polemiche per la pubblicazione dell’intervista a Giuseppe Salvatore Riina a Lo Sperone podcast, online su YouTube e su altri canali social.
«Io mi assumo sempre le responsabilità delle mie interviste da speaker e, a costo di prendermi qualche sberla mediatica in faccia, ho dato la possibilità di esprimere il pensiero a un uomo che è sicuramente pregiudicato, figlio di un animale feroce, il più cattivo e privo di umanità. Un uomo che non si può appoggiare, né elogiare mai - aggiunge -. Perché la mafia non si appoggia e non si elogia. La mafia si schifa, la mafia non si approva, la mafia si combatte e si distrugge. Così come ci insegnano i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La mafia è e resta la montagna di merda di cui parlava Peppino Impastato e una ferita profonda nella nostra società, nella nostra terra».
E prosegue: «Era febbraio del 2009, avevo poco più di 11 anni, quando uccisero a colpi d’arma da fuoco mio nonno, Salvatore Mangano, padre di mia madre. Incensurato, senza precedenti penali, un semplice operaio edile. Dopo tanti anni non sappiamo ancora chi l’ha ucciso e perché, ma sappiamo che è una possibile vittima di mafia e che la sua storia è finita nell’oblio giudiziario e ogni anno siamo solo io e la mia famiglia a celebrarlo e ricordarlo». Per lo speaker «proporre di cancellare la puntata dal web o addirittura tutto il podcast come hanno chiesto certuni politici, che tra l’altro in passato si sono fatti intervistare da me, mi renderebbe solo vittima di un sistema di finti propagandisti della libertà, che della stesa libertà ne fanno una farsa per cercare click nei profili social e voti tra la gente più sensibile».