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Se il caso Cannes fosse un film: ma è uno scandalo. E ora indaga anche la Procura europea

Sequestrati ieri gli atti sui fondi nazionali e comunitari. I pm palermitani approfondiscono il verbale della musicista arrestata: accuse e nomi “omissati”

Di Mario Barresi |

Se fosse un film, magari da proiettare in anteprima proprio sulla Croisette,  sarebbe montato con una raffica di piani sequenza. Ma questo non è un film.

Blitz, ieri a Palermo, della guardia di finanza nella sede dell’assessorato al Turismo. Dagli uffici di via Notarbartolo sono stati sequestrati numerosi atti. Non soltanto quelli relativi all’affidamento diretto di 3 milioni e 750mila euro alla lussemburghese Absolute Blue per l’evento “Sicily, Women and Cinema” al prossimo Festival di Cannes. Nei faldoni che gli uomini del  nucleo di Polizia economico-finanziaria hanno acquisito ci sono tutti i documenti relativi all’intera programmazione e gestione dei fondi del dipartimento regionale Turismo degli ultimi anni, compresi quelli relativi alla rendicontazione delle spese.

I militari delle fiamme gialle di Palermo  – facendo, come si suol dire, “un viaggio e due servizi” – sono entrati, in punta di piedi, dentro le stanze dell’assessorato al Turismo presentando una doppia delega. Una della Procura della Corte dei conti regionale, diretta da Pino Zingale, che ha aperto un fascicolo sui presunti danni erariali; e un’altra dell’Eppo, la Procura europea che si occupa dei reati che «ledono gli interessi finanziari dell'Ue». Un organismo con struttura piramidale, che ha sede – ironia della sorte- in Lussemburgo, con un livello nazionale costituito da una rete di Ped (procuratori europei delegati), che si occupano «dell’esercizio dell'azione penale» e «operano in piena indipendenza dalle rispettive autorità nazionali». A Palermo i Ped sono due magistrati di punta della Procura: Gery Ferrara e Amelia Luise. Due inchieste parallele – una sui fondi nazionali e un’altra su quelli comunitari – con un intreccio di possibili responsabilità contabili e penali.

Su queste ultime, d’altronde, la Procura di Palermo – e questo è il secondo piano sequenza, senza l’uso di ciak né di riflettori – sta lavorando in penombra da alcuni mesi. E quella sul caso Cannes, come rivelato da questo giornale due giorni fa, non è una nuova indagine aperta sull’onda dell’indignazione sulle spese allegre. Ma un’altra carpetta, una delle tante, che si aggiunge a un fascicolo ben più corposo. Che, annota correttamente Riccardo Lo Verso su LiveSicilia, parte dalle confessioni di Marianna Musotto, la musicista palermitana denunciata (e arrestata per istigazione alla corruzione) proprio dal meloniano Messina per la richiesta di una mazzetta di 50mila euro fatta in chat all’allora capo della segreteria tecnica dell’assessorato al Turismo, Raoul Russo, oggi senatore di Fratelli d’Italia.

Musotto – altro piano sequenza con un flashback che risale a metà aprile dell’anno scorso – è stata sentita dal gip Clelia Maltese, in presenza dei pm Claudia Ferrari e Andrea Zoppi. E la musicista, incastrata perché voleva fare «un regalo» all’assessore Messina e al suo partito, rispedito al mittente, è passata dalla difesa all’attacco. Dopo aver ammesso le sue responsabilità sul fatto contestato, Musotto ha ricostruito quella che secondo lei sarebbe «una trappola» organizzata da chi, «per sventolare la bandiera della legalità», avrebbe pianificato a tavolino lo scandalo, poi dato in pasto al web, per farla passare come «mela marcia».

Una tesi ovviamente tutta da dimostrare. Eppure la musicista palermitana, scarcerata dal gip subito dopo quell’interrogatorio, ha riempito il verbale di decine di nomi – tutti poi omissati dai magistrati che l’hanno ascoltata con molto di interesse – di pezzi grossi regionali e nazionali che, secondo la tesi dell’indagata, costituirebbero una sorta di “sistema” nel mondo dello spettacolo e degli eventi in Sicilia. Amicizie speciali, intrecci di società, rapporti politici sull’asse Palermo-Roma: uno scenario, in corso di verifica con le indagini coordinate dall’aggiunto Sergio Demontis, che potrebbe anche avere qualche collegamento con il caso di Cannes esploso negli ultimi giorni. 

E così, proprio mentre i finanzieri portano vie le scartoffie al Turismo, l’ex assessore  Manlio Messina – altro piano sequenza sfocato del film di una giornata particolare – si sfoga sui social contro chi «alza polveroni squallidi sulle risorse spese per promuovere la Sicilia, ma solo perché non possono mettere le mani su questi soldi con i loro amici», rivendicando il lavoro fatto e consegnato all’erede designato Francesco Paolo Scarpinato. Che non è a Palazzo d’Orléans, quando Renato Schifani comunica alla sua giunta la notizia del blitz della finanza negli uffici regionali.

Ma l’altra scena madre della giornata – l’ultimo piano sequenza, ma non ancora il gran finale di questa storia – s’è già consumata. E non è,  si badi bene, una reazione di pancia al sequestro di carte in assessorato. Schifani, in mattinata, riceve il parere chiesto già tre giorni fa all’Avvocatura. Un documento corposo, firmato da Giovanni Bologna, che il governatore legge con attenzione assieme alla segretaria generale Maria Mattarella.

La conclusione è inequivocabile: «L'Avvocatura generale della Regione ha accertato che, in merito all’affidamento dell’evento “Sicily, Women and Cinema”, non è stata ravvisata piena correttezza nell’applicazione dell’articolo 63 del Codice degli appalti, che prevede la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara». È il peccato originale della procedura, «uno dei tanti» sostengono in Presidenza. Dove la relazione di Scarpinato, arrivata martedì sera, è stata giudicata «acqua in mano».

E dunque arriva l’atto conseguente al parere dell’Avvocatura: una direttiva, indirizzata all’assessore  e al dirigente generale ad interim del Turismo, Franco Fazio, in cui Schifani «intima» di «adottare la revoca in autotutela di ogni atto potenzialmente produttore di danno e  responsabilità in capo alla Regione in relazione alla partecipazione alla prossima edizione del Festival di Cannes».

Una gelida Pec in burocratese. Senza alcun contatto con Scarpinato, assente anche nella seconda riunione serale di giunta, né con chiunque s’era fatto avanti. Rimbalzato. «Perché io non ci parlo, con gli assessori-ombra», sibila Schifani a chi gli chiede il perché del mancato chiarimento. Tutto nel silenzio, imbarazzatissimo, dei vertici di FdI. In Sicilia così come a Roma.

La sorte di Scarpinato – l’ultimo arrivato, in una vicenda molto più grande di lui – sembra essere ora quella dell’agnello sacrificale. Dopo il plateale atto di “sfiducia” da parte di Schifani, a Palazzo d’Orléans si aspettano le dimissioni dell’assessore meloniano. «Per evitare l’imbarazzo che sia il presidente a trarre le ovvie determinazioni», dicono, mentre scorre il rullo dei titoli di coda.

Twitter: @MarioBarresi    

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