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Sicilia, la guerra del pesce senza fine: i conflitti infiammano il Mediterraneo

Di Mariza D'Anna |

MAZARA DEL VALLO – Mediterraneo mare di pace ma anche di conflitti. Se negli ultimi decenni gli Stati frontalieri hanno fatto rilevanti passi avanti nei rapporti di scambio in molti settori, dall’agricoltura, all’industria ed anche alla cultura, partecipando ad un dialogo politico ed economico teso alla costruzione di buoni rapporti, lo stesso dialogo, che l’Italia ha intensificato in particolar modo con la Tunisia, non ha riguardato il settore della pesca che pure è quello che per primo coinvolge i Paesi dell’area mediterranea.

Si può affermare invece che sino dagli anni Cinquanta, benché in forme e modi diversi, i conflitti del mare e sul mare abbiano coinvolto i Paesi mediterranei e in tale contesto Mazara del Vallo, con la sua imponente flotta peschereccia tra le prime se non la prima in Italia, ha recitato un ruolo di primo piano spingendosi sino agli areali dell’Africa centrale; e per prima con la Tunisia si era “scontrata” in mare subendo gli avvertimenti delle motovedette arabe che, senza mai arrivare a vere e proprie azioni di rappresaglia, invitavano i comandati siciliani ad allontanarsi dalle loro acque territoriali.  Dopo anni di libera pesca il Canale di Sicilia iniziava a rispondere alle regole della territorialità delle sue acque.

Precedentemente, in virtù di una vecchia convenzione sulla pesca (datata 1884), i pescherecci mazaresi erano liberi di pescare nel golfo di Hammamet. Dopo la Seconda guerra mondiale la Regione aveva tentato di confermare l’accordo con la Tunisia, che era protettorato francese, ma per una serie di ragioni l’accordo non era stato rinnovato e la Tunisia aveva decretato che fino a 45 miglia dalle sue coste le aree di pesca erano di sua esclusiva competenza. Erano iniziate così le prime vere schermaglie che si erano estese successivamente alla Libia e che ancora oggi provocano seri conflitti che si risolvono con sequestri di pescherecci e degli equipaggi, e nei casi peggiori con speronamenti, sassaiole e anche l’uso delle armi, così come è successo nei giorni scorsi al peschereccio mazarese Aliseo, colpito da proiettili sparati dalla motovedetta libica che hanno provocato il ferimento seppure lieve del comandante, Giuseppe Giacalone.

Ieri l’ennesimo caso. Il motopesca Michele Giacalone, già mitragliato il 3 maggio scorso da un guardiacoste libico mentre si trovava all’interno di quella che Tripoli considera sua Zona di protezione pesca, è stato preso a pietrate, fumogeni e infine speronato da una decina di motopesca turchi in acque internazionali. L’imbarcazione si è sottratto all’attacco grazie all’intervento di un elicottero della Marina Militare e di una motovedetta della Guardia costiera turca. Ma è l’ennesimo episodio di quella che viene definita «guerra del gambero», nonchè un altro segnale della tensione montante tra Italia e Turchia.

Andare a pesca quasi come andare in guerra, dunque. E l’armatore mazarese Luciano Giacalone, non ci sta: «l’Unione Europea – chiede – ci dica, una volta e per tutte, dove dobbiamo andare a pescare. Siamo rovinati». Anche Mimmo Asaro, presidente di Federpesca a Mazara del Vallo, parla di «situazione oramai insostenibile. Chi di dovere affronti la questione della sicurezza in mare per noi pescatori». Analoga la posizione di Coldiretti Impresapesca che auspica la fine del «far west che ha causato aggressioni, ferimenti e sequestri portando al dimezzamento della flotta siciliana di Mazara del Vallo nel giro di 10 anni». 

Il problema è ben presente al Governo. Marina Militare e Aise sorvegliano la delicata situazione del Mediterraneo. L’invito ai pescherecci nazionali è quello di evitare rotte rischiose vista la postura aggressiva di Paesi come Libia e Turchia che hanno allargato in modo unilaterale le proprie zone di pesca. Ankara ha inoltre contestato i criteri internazionali di ripartizione delle Zone economiche esclusive dell’area, anche alla luce del rinvenimento di importanti giacimenti di gas nelle acque di Egitto, Israele e Cipro. Dopo la definizione di «dittatore» affibbiata da premier Mario Draghi al presidente turco Recep Erdogan e la dura risposta di quest’ultimo, i rapporti Italia-Turchia sono sul filo del rasoio, anche per l’influenza turca sulla Libia.

Poche settimane fa alla Camera il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha parlato chiaro riguardo alle «pretese di Ankara in termini di definizione unilaterale degli spazi marittimi su cui le autorità turche reclamano una giurisdizione esclusiva, a scapito dei Paesi confinanti e quindi delle attività che coinvolgono anche le nostre imprese». E proprio per proteggere gli interessi nazionali la Marina Militare è stata attivata con le sue unità presenti nel Mediterraneo in modo da intervenire tempestivamente per evitare incidenti che potrebbero avere conseguenze gravi.

Il fatto è anche che le raccomandazioni della Farnesina di non spingersi in acque “pericolose” vengono per lo più disattese. E così ci vuole poco perchè la situazione sfugga di mano.

Già negli anni ’50 e ’60 si erano verificati diversi episodi di “sconfinamento” qualcuno finito anche con il ferimento di pescatori a bordo (nel 1960 uno di questi si concluse con la morte del comandante del motopesca Salemi, Antonino Genovese e dell’armatore Luigi Licatini). Negli anni successivi la “guerra del pesce” non ha più avuto una tregua, i sequestri si sono intensificati e così gli episodi di respingimento, spesso conclusi con la perdita di tutto il pescato, soprattutto del pregiato gambero rosso. Addirittura sembra che molte conflittualità non vengano neppure registrate ufficialmente, ma i tanti casi conosciuti restano a significare che la “guerra” per il pesce non si è mai fermata.

Scarni e poco incisivi gli interventi della politica, vuoi per la complessità della questione che coinvolge molti aspetti, vuoi per gli equilibri politici tra i Paesi. Ma se con la Tunisia i rapporti riguardanti la pesca sono altalenanti, con la Libia sono ancora più complicati dal fatto che il Paese rivendica la territorialità del mare oltre le sessanta miglia dalla costa.

Il sindaco di Mazara del Vallo, Salvato Quinci, a seguito dell’ultimo episodio che ha coinvolto il peschereccio Aliseo, ha dichiarato: «C’è una parte della milizia libica che agisce con l’intento di fermare i nostri motopesca».

Armatori e comandanti invocano la protezione della Marina militare italiana nel Canale di Sicilia che come abbiamo visto spesso è presente ma non sempre l’intervento può essere tempestivo, come dimostra l’ultimo episodio coi libici quando, vista la situazione di pericolo, il comandante ha chiesto alla nave Libeccio che non si trovava distante di intervenire; ma nonostante si fosse alzato in volo l’elicottero che avrebbe dovuto scoraggiare l’azione di forza degli uomini di Bengasi, i colpi di mitraglia sono arrivati in direzione del peschereccio Aliseo (i libici hanno affermato di aver sparato in aria), hanno colpito lo scafo, frantumato i vetri e ferito il comandante. Ecco perché alla Farnesina non resta che raccomandare ai pescherecci di non spingersi in quelle zone ma le raccomandazioni vengono disattese dai pescatori mazaresi che, ritenendosi in acque internazionali, invocano la libertà di pescarvi.

Sembra proprio una storia senza fine e una questione senza soluzione quella della “guerra del pesce” almeno fino a quando i governi non riusciranno a stabilire con chiarezza limiti e divieti così da consentire le attività di pesca senza pericoli. Il sindaco Quinci, come i suoi predecessori, tenta la carta del dialogo: «Andrò a Roma per incontrare i ministri degli Esteri e della Difesa – ha dichiarato – Va costituito tavolo con il ministero della Pesca, c’è un intero comparto che è in difficoltà e va aiutato con percorsi e progetti più impegnativi, che non possono essere soltanto quelli di difendere i nostri pescherecci».

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