Speziale non dovrà risarcire lo Stato per la morte di Raciti: la sentenza della Cassazione chiude la contesa
La lesione dell’immagine dello Stato richiede la prova di un concreto discredito presso l’opinione pubblica, non è sufficiente la sola gravità degli episodi di violenza
Antonino Speziale, l'ultra del Catania condannato a otto anni e otto mesi di reclusione per omicidio preterintenzionale dell'ispettore capo di polizia Filippo Raciti è uscito dal carcere a Messina, 15 dicembre 2020. ANSA/CARMELO IMBESI
La Cassazione ha accolto il secondo motivo di ricorso proposto da Antonino Filippo Speziale, il giovane condannato per l'omicidio preterintenzionale dell'agente di polizia Filippo Raciti. La sentenza della Suprema Corte ha cassato la decisione della Corte d'Appello di Catania nella parte in cui riconosceva un danno non patrimoniale da lesione dell'immagine in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell'Interno.
La vicenda trae origine dagli scontri avvenuti fuori dallo stadio di calcio di Catania, nel febbraio del 2007, durante i quali perse la vita l'agente Filippo Raciti. Speziale, all'epoca minorenne, era stato condannato per omicidio preterintenzionale. In seguito, Palazzo Chigi e gli eredi del poliziotto avevano agito in sede civile per il risarcimento dei danni. Il Tribunale di Catania aveva riconosciuto la responsabilità di Speziale e lo aveva condannato al risarcimento dei danni anche nei confronti della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell'Interno. La Corte d'Appello di Catania aveva poi riformato parzialmente la decisione di primo grado, escludendo il risarcimento per i danni patrimoniali alle parti pubbliche, limitandolo al solo danno non patrimoniale da lesione dell'immagine.
La Cassazione ha invece ritenuto fondato il motivo di ricorso di Speziale che contestava la sussistenza di un danno all'immagine per lo Stato derivante da uno scontro fisico con la polizia. La Cassazione ha chiarito che la lesione della reputazione presuppone delle conseguenze dannose, ovvero il "discredito che il soggetto passivo subisce presso terzi", vedendo ridotta la sua reputazione. Non è insomma sufficiente la mera divulgazione delle immagini di un evento lesivo, ma è necessario dimostrare che da tale condotta sia derivato un effettivo pregiudizio all'immagine, intesa come reputazione.
La Corte ha sottolineato che non è affatto detto che la visione di tali immagini abbia comportato discredito o una idea negativa dello Stato italiano e della sua capacità di reprimere le violenze. In altri termini, la Cassazione ha ribadito che per poter sostenere una lesione dell'immagine (o reputazione) è indispensabile dimostrare che dalla divulgazione degli episodi di violenza sia derivato un discredito per lo Stato italiano o per un suo Ministero. La Corte ha precisato che la violenza usata da gruppi di cittadini verso la polizia non può costituire di per sé, anche quando degeneri in fatti gravissimi, una lesione dell'immagine dello Stato; occorre che ne sia seguita una perdita di credibilità delle istituzioni coinvolte.
Per quanto riguarda il ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio e dal Ministero dell'Interno, relativo al danno patrimoniale subito dallo Stato per aver dovuto corrispondere indennità ai superstiti del poliziotto ucciso (come la pensione di reversibilità, l'assegno previsto dalla legge speciale, l'indennizzo per vittime di mafie e reati violenti, ed alcune spese fisse), la Cassazione lo ha rigettato. La Corte ha confermato il principio secondo cui tali elargizioni statali trovano la loro "occasione" e non la "causa" nell'illecito dannoso, in quanto la loro diretta dipendenza deriva dal fatto che la morte o la lesione sia avvenuta nell'espletamento di un servizio di istituto del soggetto, il quale è, per questo, da considerarsi vittima del dovere.
Pertanto, lo Stato tenuto agli esborsi non può proporre azione di risarcimento del danno nei confronti dell'autore dell'illecito per tali indennità. La sentenza della Cassazione segna un importante punto a favore di Antonino Speziale, annullando la condanna al risarcimento del danno all'immagine per le amministrazioni pubbliche e rinviando la questione alla Corte d'Appello di Catania in diversa composizione anche per le spese del giudizio.