Stupro di Catania, ecco cosa hanno raccontato gli egiziani e perché il Gip non gli ha creduto
Per il giudice il gruppo era compatto e non esclude che il branco potesse essere più numeroso
«A fronte di un così grave quadro indiziario gli indagati all’udienza di convalida hanno negato gli addebiti». Le parole del gip Carlo Umberto Cannella sono lapidarie nei confronti dei 4 indagati egiziani maggiorenni accusati dello stupro di gruppo ai danni di una tredicenne avvenuta il 30 gennaio nei bagni della Villa Bellini di Catania alla presenza del suo fidanzatino, immobilizzato dal branco.
Per tre (Ahmed Amgad Elshahat Abdelzaren Nassreldeen, 18 anni, Amr Barkat Mohamed Elbardawil, 19 anni, Ali Nasser Shehadata Ahmed Alsayed, 19 anni) il giudice ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, mentre per un altro (Mahmoud Reda Edris, 19 anni) ha ordinato i domiciliari con braccialetto elettronico vista la sua collaborazione con pm e carabinieri nell’identificazione dei responsabili della «terribile violenza».
Contraddizioni
Ma nonostante il comportamento processuale abbia ammorbidito il provvedimento cautelare - già il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e la pm Anna Trinchillo avevano disposto il fermo ai domiciliari per Edris - la ricostruzione fornita, almeno in alcune parti, non ha convinto il gip. Così come quella fatta dagli altri indagati nel corso dell’udienza di convalida. «Non appare per nulla credibile la versione resa», mette nero su bianco il giudice che parla di «narrato» con «contraddizioni estrinseche».
Ma cosa hanno raccontato precisamente? Partiamo dall’indagato che ha collaborato: il 19enne dopo essersi confidato con l’operatore della struttura in cui è ospitato (era in attesa di un permesso scuola-lavoro) decide il 2 febbraio di andare dai carabinieri. E dice la sua verità. «Mi trovavo in compagnia di alcuni miei amici e nel transitare nei pressi dei bagni pubblici sono stato attirato da alcune grida». Da quel momento il giovane prima sarebbe stato allontanato ma poi sarebbe ritornato e affacciandosi dal «bagno a fianco» avrebbe visto l’uomo «che stava violentando la ragazza». Quest’ultima urlava: «Lasciami, lasciami». Lui e un suo amico avrebbero cominciato a dare colpi alla porta del bagno per far cessare l’aggressione.
L’egiziano poi mostra le foto dei sospettati attraverso un profilo Instagram. E da lì, in meno di 24 ore, i carabinieri con il coordinamento della procura arrivano a identificare tutti e sette gli indagati. Nello stesso pomeriggio del 2 febbraio, Elbardawil rilascia delle dichiarazioni dove si descrive come «testimone» casuale di quanto accaduto al giardino catanese.
I due, all’udienza di convalida confermano le dichiarazioni rese, mentre Alsayed e Nassreldeen decidono di rispondere al gip. E dicono di «avere incontrato per caso» i due connazionali «intenti a usare violenza» . Uno dei due inoltre afferma di aver conosciuto i due egiziani la mattina stessa a San Berillo.
Tutti insieme
Cannella, ritenendo attendibile le testimonianze della tredicenne e del fidanzatino, esclude «in radice la possibilità che gli indagati fossero per conto loro e che avessero incontrato per caso i connazionali». Per il gip, invece, «risulta con chiarezza che il gruppo dei 7-10 egiziani (non può escludersi che qualcuno sia sfuggito alle indagini) fosse compatto e unito». Insomma i quattro indagati «hanno partecipato alla violenza di gruppo» assieme ai due che «hanno materialmente commesso gli atti sessuali».
Ieri sera, intanto, Catania è scesa in piazza. Al sit-in organizzato da Cgil e da diverse associazioni hanno partecipato circa 300 persone. Una delegazione ha incontrato la prefetta per manifestare «preoccupazione sulla sicurezza in città».