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Traffico di rifiuti, un “affare” da 3,6 milioni. I Pm: «Cisma già pronta per l’emergenza»

Di Mario Barresi |

Catania. L’emergenza in Sicilia, nell’estate del 2016, era talmente ghiotta da poter “sotterrare” il già redditizio smaltimento dei rifiuti speciali. Meglio la buona vecchia spazzatura. E i soldi che trascina con sé, assieme alla puzza. Sporchi, maledetti e subito: è infatti pari a 3.626.727,30 euro l’importo fatturato da Cisma Ambiente alla Regione per raccogliere e smaltire i rifiuti solidi urbani (circa 34mila tonnellate, da fine luglio 2016 a marzo 2017) provenienti dal Siracusano, ma anche dal Palermitano. E buona parte del credito risulta già incassato dagli imprenditori che gestiscono l’impianto di Melilli: 2.845.033,30 euro. Sarebbe un modello virtuoso: tempestiva risposta all’allarme igienico-sanitario da parte delle istituzioni, che si affidano a un’impresa leader nel settore, che viene giustamente rispettate nei tempi di pagamento da parte della pubblica amministrazione.Sarebbe, appunto. Perché invece alla base di questo modello c’è, secondo quanto emerge dalle carte dell’inchiesta della Procura di Catania, fra le altre contestazioni, un sistema di «abusiva gestione di ingenti quantitativi di rifiuti solidi urbani». E negli avvisi di conclusione delle indagini, recapitate fra il 23 e il 26 aprile dai carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico) di Catania ai 12 destinatari, l’accusa più grave non è l’abuso d’ufficio di cui s’era vociferato fino a giovedì. Nella lista delle ipotesi di reato – che coinvolgono, fra gli altri, l’ex governatore Rosario Crocetta e l’ex dirigente regionale del Dipartimento Rifiuti,  Maurizio Pirillo – c’è anche il traffico illecito di rifiuti. In questo caso contestato come fattispecie del Codice ambientale (il famoso “articolo 260”), ma adesso entrata a pieno titolo nel Codice penale. Ed è materia di rango distrettuale. Per questo il fascicolo non è a Siracusa, ma competenza della Procura guidata da Carmelo Zuccaro, con indagini affidate al sostituto Giuseppe Sturiale e coordinate dall’aggiunto Carmelo Petralia.  Ai magistrati catanesi il Noe dei carabinieri ha consegnato il frutto di un’indagine-gemella all’operazione “Piramidi” (sugli intrecci fra mafia, imprenditoria e pubblica amministrazione nel settore dei rifiuti) che ha portato a processo anche qualcuno degli odierni indagati.

Allora come ora, tutto ruota attorno all’impianto della Cisma Ambiente di Melilli, gestita di fatto da Antonino e Carmelo Paratore, rinviati a giudizio per traffico illecito di rifiuti, e ritenuti dalla Dda etnea in odor di mafia. Ma in quell’afosa estate del 2016, al culmine del più clamoroso caos sui rifiuti che si ricordi in Sicilia, le vicende di quell’indagine non erano ancora pubbliche. Eppure il “sistema Paratore”, seppur sottotraccia, sarebbe stato già attivo. Grazie anche alle complicità di Mauro Verace (funzionario regionale, all’epoca responsabile dell’ufficio Autorizzazioni del dipartimento Acque e rifiuti), arrestato e processato per l’operazione “Piramidi” della Dia e ora indagato anche in questa vicenda.  La tesi degli investigatori, fra le righe delle 22 pagine dell’atto noto alle parti, è che la discarica della Cisma fosse sin troppo “preparata” a quell’emergenza. Soltanto fiuto per gli affari? Non proprio così per i riscontri che il Noe, guidato dal maggiore Michele Cannizzaro, ha consegnato ai pm catanesi: complicità di professionisti e consulenti compiacenti che avrebbero certificato il falso, ma anche buone entrature nell’Ufficio tecnico di Melilli per le autorizzazioni, grazie al funzionario comunale Salvatore Salafia, anch’esso rinviato a giudizio nell’altra inchiesta del 2017. L’elemento più inquietante è il “cimitero” dei rifiuti speciali. Perché il nuovo impianto, a Melilli, è sorto «al culmine di una discarica ancora non chiusa», attraverso «un sovraccarico (dovuto alla realizzazione di un esteso piazzale, la relativa copertura, la pesa, lo stoccaggio e la movimentazione di ingenti quantitativi di rifiuti e di mezzi d’opera)  incompatibile con il capping di chiusura della discarica». Per intenderci: una specie di “pista aeroportuale”, nell’efficace metafora di chi è in prima linea nelle indagini, realizzata con una colata di cemento di 14mila metri quadrati.

Ma anche il risultato finale, secondo l’accusa, non sarebbe compatibile con quanto autorizzato dalla Regione pur in regime d’emergenza. L’impianto sarebbe stato «tecnicamente inadeguato», anche perché «si trattava di fatto, di un impianto di micronizzazione dei rifiuti e non di un impianto di biostabilizzazione della frazione organica del sottovaglio». Tant’è che i carabinieri trovano 24 “biocelle” che dovevano essere mobili, e invece erano ancorate al terreno.  Quali sono i livelli di coinvolgimento nei palazzi della politica e della burocrazia regionali? Come si ricostruisce la “filiera” delle responsabilità? Crocetta è indagato perché ha messo la firma decisiva – l’ultima – alle tre ordinanze che permettono il business, ritenuto illegale, alla Cisma dei Paratore. Atti che i pm di Catania ritengono macchiati di abusi d’ufficio. Compresa l’ultima proroga, che sarebbe durata almeno fino a maggio 2017 se l’impianto Cisma non fosse stato sequestrato. E ciò nonostante ministero dell’Ambiente, già nel 2016, avesse stabilito che la deroga per la discarica Cisma «non era più applicabile».

 Cosa poteva sapere l’ex governatore di ciò che stava succedendo a Melilli, mentre lui era nel suo gabinetto di guerra dopo aver dichiarato guerra alla munnizza? Lui giura: «Niente di niente». Di certo, le cronache di quell’estate raccontano l’asse fortissimo co Pirillo, assieme al quale di fatto Crocetta “commissariò” l’allora assessore ai Rifiuti Vania Contrafatto. E di certo il dirigente, oggi esiliato al vertice dell’Autorità regionale per l’innovazione tecnologica dal governo Musumeci, ha firmato altri atti propedeutici al via libera alla Cisma, compreso l’aumento della capacità della discarica da 500 a 859 tonnellate al giorno contestata dai pm etnei. E a sua volta Pirillo, sempre all’epoca dei fatti, dimostrava stima e fiducia nei confronti di Verace (dal Territorio e ambiente lo portò con sé al dipartimento Acqua e rifiuti), funzionario ritenuto “amico” dei Paratore in ben due inchieste. Chi sapeva cosa su chi? Anche questo sarà oggetto della strategia difensiva – a questo punto non è detto quanto univoca e concordante – di quei vertici della Regione, infangata dall’ennesimo scandalo sui rifiuti.Twitter: @MarioBarresi COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA