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Vecchio-Rovetta: la “nuova” pista sul duplice delitto delle Acciaierie Megara del 1990

Vecchio-Rovetta: la “nuova” pista Nell’opposizione dei familiari all’archiviazione spunta una strana mail Il 24 marzo 2025 l’udienza davanti al gip

Laura Distefano

28 Dicembre 2024, 14:58

Vecchio Rovetta omicidi

Molti familiari di vittime di mafia si sono arresi. Guardano la lapide dei loro cari senza che siano state scolpite le parole giustizia e verità e soffrono in silenzio. Non è così per i figli di Francesco Vecchio e Alessandro Rovetta, ammazzati in un agguato alla zona industriale il 31 ottobre 1990. Da anni portano avanti una battaglia per poter arrivare a scoprire chi ha ordinato l’assassinio dei vertici delle Acciaierie Megara.

Entrambe le famiglie si sono opposte alla richiesta di archiviazione avanzata dalla procura etnea. Un’opposizione che i procuratori aggiunti di Catania ritengono inammissibile per tante ragioni. Primo fra tutti quello di correre il pericolo di aprire un processo che possa portare a una assoluzione per mancanza di prove. E quindi stoppare qualsiasi tentativo in futuro di poter avere un quadro probatorio più solido per affrontare un dibattimento. I pm ricordano poi che nessun ostacolo è stato dato ai legali delle famiglia di svolgere indagini difensive. Ora toccherà alla giudice delle indagini preliminari Marina Rizza decidere. Il 24 marzo 2025 ci sarà l’udienza camerale.

Si sono battute diverse piste investigative nel corso di questi anni. Una che porta a Palermo, una ai Santapaola e l’altra è quella degli Sciuto-Tigna. Quella in cui credono di più i figli di Francesco Vecchio e Alessandro Rovetta. In una delle opposizioni si ricostruiscono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia mettendole in fila per “dimostrare” il riscontro.

Nel 1995 Giuseppe Ferone riferì che l’omicidio sarebbe stato commesso da esponenti del clan Sciuto-Tigna, indicando Carmelo Privitera (fratello dell’ergastolano Orazio) e Rosario Russo (oggi defunto). I due, secondo il pentito, stavano «sottoponendo a estorsione Vecchio» allo scopo di far lavorare «la ditta di un loro amico» all’interno del colosso dell’acciaio. La confidenza Ferone l’avrebbe avuta da Mario Buda, anche lui del clan Sciuto-Tigna e cugino di Carmelo Privitera. Il collaboratore ribadisce questa versione nel 2008 e nel 2024, quando è stato risentito. Il nome di Mario Buda viene fuori anche dall’esame di Francesco Squillaci (il killer di Gianni Lizzio, da qualche anno collaboratore di giustizia). Buda gli avrebbe riferito che il duplice omicidio sarebbe stata «una cosa personale» di Orazio Privitera. Buda poi avrebbe detto direttamente alla figlia di Rovetta di continuare a indagare sulla morte del padre durante un incontro in carcere. Anche se il detenuto, sentito dai pm, ha un po’ ridimensionato le sue parole.

Torniamo a Squillaci. Natale Di Raimondo, anche lui pentito ma negli anni Novanta capo del gruppo di Monte Po dei Santapaola, gli avrebbe riferito che si sarebbero dovuti uccidere due affiliati degli Sciuto-Tigna (i fratelli Franco e Giuseppe Barbagallo). Squillaci, detto “Martiddina”, racconta ai pm che riflettendo, secondo lui, sarebbe stata «la punizione» per l’uccisione dei manager delle Acciaierie Megara. Il legale di Rovetta in particolare, inoltre, rimarca nell’opposizione che anche il pentito Giuseppe Nicotra ha detto che l’azienda dei Rapisarda sarebbe stata a disposizione degli Sciuto-Tigna.

Ma c’è un altro tassello che riempie di nuovi misteri un duplice delitto che all’epoca fu rivendicato anche dalla Falange Armata. Una firma che collega stragi e bombe in tutta Italia. C’è una mail inviata da un indirizzo di un’associazione antimafia a un familiare delle vittime che porta il binocolo investigativo a Brescia, in Lombardia. Una persona avrebbe informazioni che potrebbero «dare un’ulteriore indicazione» su quanto accaduto 34 anni fa. Brescia è anche la città da cui proviene Rovetta e quindi il gruppo di maggioranza delle Acciaierie Megara. Un altro dettaglio, piccolo quanto un granello di sabbia, porta a puntare i riflettori sulla zona dove alcuni anni dopo sarebbe stato arrestato Aldo Ercolano, uno degli indagati per questo cold case . Il figlio del defunto Pippo Ercolano e assassino del giornalista Pippo Fava ha saputo, fin dentro il carcere, che era stato iscritto nel registro degli indagati per il duplice delitto Vecchio -Rovetta. Intercettato ha parlato di «accanimento» giudiziario verso di lui. Ma il nipote di Nitto Santapaola non è così imprudente da lasciarsi scappare qualche parola in più.