“Conosco i segni de l’antica fiamma”, la prima mostra di Barilaro a Catania
Giuseppe Barilaro (Catanzaro il 16 luglio 1988), predilige la manipolazione di materiali “vergini”, al contempo resistenti e duttili, per tracciare sulla materia stessa il percorso della vita; ed è con il legno che, influenzato da queste caratteristiche, ha instaurato un’impronta ancora oggi presente. Nelle sue opere, sarebbe riduttivo trattare lo studio delle forme senza considerare la loro correlazione con la “sostanza”, vera protagonista del lavoro stesso. Gli interventi che l’artista realizza sul corpo del supporto includono: la combustione del legno, la scorticatura e l’incisione; il trattamento con acrilici combusti, finalizzato a rivelare l’anima, l’energia e il passato della figura tracciata. La sua ossessiva ricerca di una verità nascosta sotto la pelle e dietro le apparenze, che trascende un pregiudizio bivalente legato alle nostre credenze, si manifesta in primo luogo in senso accademico. Ciò risulta evidente nella rappresentazione paradossale di un “Cristo esposto alla Confessione” in un’opera che gli è valsa il primo posto al Premio Nazionale delle Arti – M.I.U.R., sezione Pittura. Progressivamente, l’artista si allontana da uno stile “narrativo”, preferendo forme e composizioni elementari, quasi arcaiche, che richiamano la fermezza e la sacralità tipiche delle icone. A contrastare questa morbidezza, interviene un colpo inferto al supporto, che si fa più cruento e deciso, eviscerando una verità nascosta. Il risultato delle opere è un vero dialogo tra il sé e le sue peculiarità, in un conflitto generale e ridondante, incapace di esaurirsi nel tempo. Il 26 settembre, alle ore 20.00, a cura del MacS (Museo Arte Contemporanea Sicilia) di Catania, diretto da Giuseppina Napoli, si terrà il vernissage della mostra “Conosco i segni de l’antica fiamma” di Giuseppe Barilaro, a cura diAdriano Pricoco, Federico Rui e Ornella Trovato. Per l’occasione lo abbiamo intervistato.
Ci descrivi e ci dici che cos’è per te il processo creativo?
«Molto filosofi hanno scritto testi e testi sul processo creativo, banalmente direi che il processo creativo è un volere esterno che viene dal nulla e ti porta in una dimensione parallela. La creatività è essere rilegati ad un fare infantile che ancora non vogliamo far andare via, certo, non con la spensieratezza del bambino ma purtroppo con la razionalità di chi vorrebbe immaginare mondi migliori e invece si trova tra gli incubi del mondo».
Lavori più con le visioni o con i materiali?
«Visioni e materiali, mescono e faccio davvero tantissime prove con i materiali, ma la tecnica non porta a nulla senza la visione e la ricerca».
Da dove parte e come prende vita un tuo progetto?
«Questa è davvero una domanda piacevole, mi piace molto. Parte da un gioco che faccio con i miei amici o mia moglie. La mia solita domanda è: a chi dedichiamo la mostra? Cosa vogliamo fare? Vogliamo giocare un po’ Provocare? O fare qualcosa di serio? Da qui nasce l’idea di un progetto che, una volta affievolita la modalità ludica, viene studiato e finalizzato a qualcosa che possa davvero dire cose importanti».
Quanto il senso del tuo lavoro è legato allo sguardo di chi osserva?
«Da quello che mi dicono, davvero tanto. Io non me ne accordo, davvero, non so cosa si prova e cosa provano. Io quando dipingo mi disinteresso da ogni cosa».
Quanto conta la tecnica rispetto all’idea? Ovvero, prima l’idea o prima la tecnica?
«La tecnica conta tantissimo, non esiste un pittore senza una tecnica. Avete mai visto uno chef cucinare con gli acrilici? Saremmo tutti morti. La tecnica è la base della libertà creativa. Più conosci, più puoi apportare varianti. Lo stesso vale per l’idea. L’artista non è chiamato a parlare di filosofia o di quanto sia bello il colore, piuttosto deve analizzare il tempo e trarre delle ipotesi. La verità è data da ciò che facciamo, non è assoluta, ma è la nostra verità».
Rispetto al passato, oggi, chi “decide” cos’è o cosa non è arte?
«Sembrano davvero domande facili ma quando rispondo le analizzo e mi rendo conto della difficoltà. Non voglio essere banale, ma l’arte è la conseguenza di un mercato che ti consacra al cliente. Non credo nel sentimento dell’arte, non credo alla figura dell’artista introspettivo e labile mentalmente, per me l’arte è un lavoro come tanti altri, se ha mercato vuol dire che quello che sto facendo sta diventando importante come una borsa di Valentino, da quel momento in poi bisogna tutelare ogni passo per crescere sempre di più».
Credi che oggi l’arte è ancora capace di produrre qualcosa di nuovo, di inedito o la reputi in crisi?
«L’arte è insensata quanto importene, non è mai stata in crisi, in crisi è l’essere umano che ogni tanto ricorda che, grazie all’arte e dunque ad una fotografia che analizza il passato e le sue correnti, quanto sta andando in degrado il mondo. Chi è in grado di sopravvivere a questa inequivocabile distruzione, può benissimo fare a meno dell’arte. Ma in questo mondo, pochi sono ancora sani».
Per concludere, ci parli (anche) dei tuoi progetti professionali futuri?
«A saperlo. Sono stati dei mesi davvero difficili, dopo questa mostra e, successivamente quella di Firenze, vorrò un attimo fermarmi in previsione di una grande mostra a Milano. Dopodiché mi allontano qualche mese dallo studio».
«La scelta di ospitare Giuseppe Barilaro al MacS risponde alla nostra missione di promuovere artisti che, attraverso i mutevoli linguaggi contemporanei, incarnano la potenza e la forza archetipica dei simboli e dei miti universali. Giuseppe Barilaro è un artista capace di trasformare la materia in emozione, l’immagine in pura energia. Il MacS è lieto di presentare la mostra di un artista che rappresenta un raro esempio di maestria, tecnica e audacia: un autore che sa trasformare, inquietare, illuminare», dichiara Giuseppina Napoli (Direttrice Museo MacS). Concludiamo con le parole di Ornella Trovato (Curatrice Junior della mostra “Conosco i segni de l’antica fiamma”): «La superficie non rappresenta, rivela, lasciando emergere l’anima nascosta, la verità latente sotto la pelle, suggerendo vulnerabilità e trasformazione. Le forme oscillano tra controllo e abbandono: linee rigorose si interrompono in improvvisi squarci. Ogni intaglio diventa memoria».