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Il boss di Cosa nostra, il carcere duro, la cella e le lettere all’amico

Davide Emmanuello, capo della cosca di Gela si racconta nel libro “Diversamente vivo”

Di Laura Mendola |

«Il carcere duro strumento fondamentale, lo Stato non arretra e la battaglia contro ogni mafia prosegue e noi faremo ogni cosa possibile per vincerla». Le parole del premier Giorgia Meloni rimbombano mentre sfogliamo il libro “Diversamente vivo. Lettere dal nulla del 41bis” del boss gelese di Cosa nostra Davide Emmanuello (ora recluso a Sassari) con Pino Roveredo, lo “scrittore degli ultimi”, così era stato definitivo. Un libro in cui sono racchiuse le lettere scritte tra il 2012 e l’inverno del 2016 e sono indirizzate a Pasquale De Feo, 62 anni, detenuto all’ergastolo ostativo ritenuto «caro amico internauta». Una corrispondenza epistolare tra i due detenuti che si sono conosciuti durante la detenzione carceraria. Due coetanei che hanno storie criminali diverse alle spalle. Così quando Emmanuello prende carta e penna lo fa dalla “tortura del 41 bis” e in quelle lettere si racconta attraverso «l’intelligenza di questo inchiostro». Ora Davide Emmanuello è alla vigilia dei 60 anni e trenta anni fa è stato arrestato, di questa lunga detenzione ha trascorso solo quattro anni in regime di detenzione ordinaria, poi sempre al 41 bis. Nella prefazione le parole di Giuliano Dominici, il legale storico del boss di Cosa nostra che ha presentato diversi reclami contro il regime del carcere duro al 59enne a cui è stato sottoposto la prima volta quando venne arrestato nel ’93. Dieci anni dopo la revoca del regime carcerario duro «fondata sulla sopravvenuta insussistenza, dopo dieci anni, delle ragioni per il “trattamento speciale”. Dopo quattro anni, nel 2007, la riapplicazione del regime». Una battaglia tra reclami e ricorsi durante la quale c’è stata la revoca del “carcere duro”. «Ricordo che in occasione di una di queste riapplicazioni (non so più quale), si sottolineava la latitanza di un fratello di Davide (Daniele, ndr), ciò non si capiva bene in che termini, avrebbe evidenziato la sua pericolosità», scrive il legale. Poi Daniele Emmanuello, nel dicembre del 2007, viene accidentalmente ucciso durante la fuga dal covo in provincia di Enna, quindi non è più latitante. «Nel provvedimento successivo la morte del fratello – evidenzia Dominici – è posta a fondamento della rinnovata misura: scomparso il ruolo di latitante, il ruolo di questi tornava in capo a Davide». Dopo l’ennesimo reclamo l’avv. Dominici annuncia che quella sarebbe stata l’ultima discussione professionale per lui «per non diventare pazzo anch’io» perché le regole del gioco vengono cambiate cammin facendo. Un libro a cura di Francesca de Carolis, in prima fila per i diritti dei detenuti, di 128 pagine in cui il boss da 25 anni al regime del carcere duro si confronta a distanza con il compagno di detenzione. Un piccolo libro pubblicato da “Libriliberi Editore” con il sostegno dell’associazione “Liberarsi” Onlus, Emmanuello si ritiene un “diversamente vivo” che si muove in uno «spazio cubicolare» senza il «geometrico orizzonte visivo». Una pubblicazione di due anni fa, poco prima del Covid-19, passata inosservata in città. Il gelese era detenuto a Catanzaro quando ha scritto alla madre parlando di giustizia disumana e di un giudice «che ti impedirà di ascoltare al telefono quei pochi minuti di parole capaci di dar colore alle emozioni di un cuore di madre». Parla del tormento che vive e vede nella madre «un raggio di sole nella mia vita» perché lui «in questo mare convulso della vita sono e rimarrò sempre il tuo porto di pace», evidenzia all’anziana che lascia «in compagnia del mio stupido inchiostro, Daniele e il papà ci applaudono dal cielo». Nonostante un passato alla guida di Cosa nostra Davide Emmanuello è sempre stato appassionato di lettura, emblematico il caso in cui non gli fecero leggere “Il nome della rosa” perché ritenuto pericoloso per chi è al carcere duro. Così tra quelle pareti anche la richiesta delle letture deve passare al vaglio della direzione, così come sono passate al vaglio anche le lettere scritte dal boss. In una di queste racconta che «la corsa è il motore della ginnastica carceraria e io non faccio eccezione nel seguire questo allenamento, unitamente agli esercizi d’atletica che pratico da sempre». Un detenuto diventato «vegetariano di fatto» ma «l’alimentazione non prevede questo vitto e integro due porzioni di fagioli a settimana e seppur insufficiente mi accontento ritenendomi comunque illuminato dalla scelta». Ora è anche diventato nonno e la «mia nipotissima l’ho fatta chiamare Dayanand. Un nome orientale che in India ha un significato simile a quanto vuol dire Davide nel mondo ebraico e con questo patronimico ho voluto darle il mio augurio». Ma per Emmanuello non è la prima volta che scrive un libro. Lo ha fatto tanti anni fa mentre era nel carcere di Ascoli Piceno e si candidò al premio Teseo. Ma il libro è stato censurato e mai presentato perché il linguaggio è criptico «e secondo me hanno messo un’ipoteca su un probabile successo». Ed anche sulla mancata partecipazione al concorso riservato ai reclusi di tutta Italia Emmanuello ha presentato ricorso ma quando è stato trattato già la premiazione era avvenuta. Un uomo, il 41 bis e la passione della scrittura. Trent’anni di vita ed una foto (quella pubblicata sopra) scattata durante la detenzione carceraria dopo una esplicita richiesta da parte degli autori del libro.  

Dalla nipote con  il nome indiano all’alimentazione vegetariana, fino alla corsa «motore della ginnastica carceraria»

Il precedente. Il gelese aveva partecipato al concorso Teseo riservato ai reclusi ma il libro è stato censurato  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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