Le donne, i tonnaroti, l’arme, gli amori. Domenico Pellegrino riaccende le sue luminarie
L’artista palermitano canta le “donne iconiche” per celebrare la musealizzazione della Camparia della Tonnara Florio di Favignana
Domenico Pellegrino
Le donne icone di Domenico Pellegrino sono come un gioco di specchi. Le vedi lì, illuminate sulle pareti della Camparìa, i magazzini della gloriosa Tonnara Florio. Le vedi aggirarsi nella sale di uno spazio finalmente restituito alla fruizione pubblica, perché ad ogni “iconic woman”, che sia la regina Elsabetta, Marilyn Monroe o Madonna, corrisponde un’altrettanto iconografia siciliana. Ci sono, in qualità di “madrine” dell’evento, Italia Carroccio, Donatella Finocchiaro, Marianna Di Martino
«Voci - dice Domenico Pellegrino - scelte sulla base di sensazioni, non perché più o meno famose. Italia, che lavora nel gruppo di Emma Dante, l'ho scelta perché l'ho vista e ha quella forza che mi serviva per far parlare Franca Florio».
Un vero e proprio melting pot di culture diverse…
«Attraverso i miei lavori nascono sinergie importanti. Il mio scopo è sempre quello di mettere in relazione varie forme di arte». Luci, anzi luminarie che “costruiscono” i volti iconici che, a loro volta, illuminano la storia della Tonnara di Favignana, che fanno rivivere - grazie anche all’installazione sonora di Alessandro Librio “I Sireni” con la voce di Gaspare Balsamo, e il documentario di Simona Bua, “La Camparìa” - il passato raccontato dalle voci dei protagonisti e dove, su tutti, troneggia il volto segnato dal tempo, del vice rais Clemente Ventrone, la cui recente scomparsa è stata accompagnata, alla Camparìa da un commosso applauso del pubblico.
Passato e presente s’intrecciano in quella che sembra una piacevole lezione per entrare nel vivo di una performance che è vita.
«Insegnare - dice ancora Pellegrino - per me è una missione. Cerco di coinvolgere i ragazzi nei laboratori, nella realizzazione delle mie installazioni. Ma mi rendo conto che certe cose vengono a mancare. Cose che noi abbiamo vissuto e che ci aiutano a decifrare il nuovo. Loro, il vecchio lo sconoscono, il telefono della nonna noi lo abbiamo visto e vissuto. Un ragazzino di oggi non ha mai sentito il rumore della puntina sul disco, il gesto, il tempo che impiega per far suonare un vinile. Anch’io uso Spotify, ma accendi il giradischi, metti il disco, e viene fuori il suono della puntina che poi diventa suono melodico. Questo è il valore aggiunto che ho voluto dare a questa installazione».
L'arte, nella sua vita, si è accesa come una lampadina, anzi come una luminaria…
«Mio padre e mia madre sono artisti, sono nato e cresciuto in mezzo ai colori. Al momento di iscrivermi al liceo mio padre mi ha costretto ad andare allo Scientifico, dove ho fatto una lotta continua finché mio padre si è arreso e l’hanno dopo mi ha iscritto all'Istituto d'Arte. Da lì è stato tutto un volo. Sono stato fortunato perché tanti professori, da Carrà ad Argentini, ci hanno fatto respirare la Palermo del “rinascimento”. Poi, ho avuto la fortuna di conoscere Antonio Presti, sono andato a Fiumara d'Arte e ho avuto l’occasione di lavorare al fianco di artisti del calibro di Nagasawa, Pomodoro, Kounellis».
Nella sua arte hanno sempre un posto di rilievo le radici siciliane.
«Non la Sicilia ma il Mediterraneo con la sua storia come motivo di ispirazione. Io nasco scultore, sempre affascinato dalla tridimensionalità, una passione cresciuta realizzando la statua di Santa Rosalia e lavorando ai carri del festino. Così ho conosciuto e mi sono innamorato della scultura. Ma mentre studiavo ero attratto dalle grandi installazioni. Raggiungo la felicità pura quando faccio opere grandi. Più grandi sono più mi piacciono. Così coltivo il rapporto con il territorio, con lo spazio esterno e con la gente che deve essere parte dell'opera. Anche qui devi fare qualcosa per interagire: crei l'opera, così come è accaduto al Salone del Mobile per Max Mara e poi le installazioni si completavano con il movimento delle persone. Crei un continuo flusso, una scultura animata. E’ l’opera condivisa. L'artista ha una funzione sociale. Pensa a quel che accadeva nel ’400/’500 con l'arte utilizzata per rappresentare storie che servivano da insegnamento a chi guardava. Oggi c'è bisogno di questo, l'arte deve attirare l'osservatore e introdurre concetti, denunciare cose che accadono davanti a noi. E non basta buttare vernice arancione sulle opere. Se lo fai attraverso la luce, catturi il pubblico, come con la mia “Sicilia” fatta di luminarie. Ma dietro a quest’opera c’è il dramma della migrazione. E’ la luce che molti vede per l'ultima volta prima di morire in mare, ma anche la luce di chi arriva a terra e comincia a costruirsi una nuova vita. Lo spettatore si innamora, lo metti a proprio agio, e poi è pronto a ricevere il messaggio. La luce per me è il viaggio. Quando volo e sto per arrivare a Milano, guardo le luci sotto e comincio già a immaginare cosa farò. E credo che questo sia ciò che vede chi affronta un viaggio guardando alla luce come faro di salvezza».
Opere d’insieme, non di un artista “solitario”…
«Pensa all’installazione che ho fatto a Lampedusa. C’erano otto, nove sub. La foto che ormai è diventata iconica l’ha scattata Salvo Emma, l’operatore della Sovrintendenza che fotografa i beni archeologici subacquei. Poi, chi monta le installazioni, chi mi aiuta a realizzarle. Hai fatto l’opera d’arte sì, ma ci sono tante persone che ci hanno lavorato e meritano di essere ringraziate».
Torniamo al fatto che, comunque vada, la Sicilia è al centro delle sue emozioni. E del suo lavoro…
«Ho scelto di restare nell’isola più bella del mondo, almeno per il mio lavoro, una terra che offre energia pura, cose belle e cose brutte, ma ti dà comunque molto».
Anche se l’arte non ha confini.
«Mi sento una persona al servizio dell’arte e se la Regione Lombardia ti invita ad inaugurare alla Bit il padiglione che si trova proprio di fronte a quello della Sicilia, ti fa capire che il goal lo abbiamo fatto, perché l’opera che parte dalla tradizione delle luminarie è diventata internazionale».
Come accade per il Festino di Santa Rosalia, proprio in questi giorni?
«Per il festino ho realizzato quest’installazione a Villa Igiea. Il mare è non un ostacolo ma il fluido che ha permesso per secoli lo scambio continuo di culture, ed ecco che Santa Rosalia guarda il mare, ci dialoga con un testo recitato in greco, francese, arabo e italiano. Una Torre di Babele che racconta la storia al ritmo del movimento del mare.