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“I diavoli di sabbia” di Elvira Seminara, “una metafora della nostra imprevedibile umanità”

La giornalista e scrittrice catanese pubblica una storia policentrica sospesa fra euforia e sgomento 

Di Annalisa Stancanelli |

Dopo “Atlante degli abiti smessi” e “I segreti del giovedì sera” Elvira Seminara torna in libreria con un libro unico, una sperimentazione narrativa che fotografa l’esistenza contemporanea fin nel linguaggio. Colpisce innanzitutto il titolo “Diavoli di sabbia” (Einaudi) che immerge subito il lettore in una scena di dinamismo, e poi la struttura: un’opera di narrativa “mobile” che rende il lettore artefice e complice dello svolgimento della narrazione.  

Un titolo che attecchisce subito, può spiegarlo? «I diavoli di sabbia, dust devil, sono improvvisi vortici di polvere e sabbia che si manifestano nel deserto del Sahara, ma anche in Sicilia, nel ragusano e nel trapanese. In pochi minuti travolgono tutto ciò che è intorno. Una metafora della nostra umanità instabile, folle e imprevedibile».

Il libro presenta una struttura nuova, non c’è la voce narrante, e la regia della narrazione è affidata ai dialoghi. Da quali istanze nasce questo congegno narrativo? «Nessuna istanza, non è stata una scelta a freddo. Questa storia turbinosa e policentrica, fatta di tante storie a incastro, simultanea, poteva essere raccontata solo così. Mi appassiona sperimentare sulla forma romanzo, tra linguaggio e congegno narrativo. Da devota calviniana, amo la narrativa potenziale dell’Oulipò, di Perec, di Queneau, e l’ho applicata a modo mio   negli ultimi tre libri con Einaudi. “Atlante degli abiti smessi” è un romanzo in forma di catalogo che contiene prosa poesia frammenti dialogo e un Io narrante doppio. “I segreti del giovedì sera” è un autofiction in cui l’io narrante reale, cioè Elvira, si mescola ai personaggi d’invenzione e fa da sostanza reagente per farli agire e parlare – un po’ alla Rachel Cusk che, insieme a Jasmine Reza, è la scrittrice che sento oggi più affine in questa ricerca». 

Il romanzo sorprende il lettore coi suoi personaggi contemporanei, in cui ciascuno può identificarsi: la donna con la mania dell’ordine, la vedova che cerca un accompagnatore a pagamento, lo psicanalista nevrotico, l’architetto in crisi. C’è pure il creativo di siti web sull’aldilà. E insieme parlano di crisi climatiche e tradimenti, di Facebook e di cani infelici.  In che modo queste storie sono nate? «Mi piace interpretare l’oggi, anche nei suo spazi urbani. Il romanzo si dipana tra hotel, pub, ospedali, negozi e valli abbandonate. Letteratura è ovunque, se usi uno sguardo diverso, non c’è gerarchia tra alto e basso, anche nella lingua usata. Mi piace raccontare i tic esistenziali, le nevrosi di cui siamo farciti, il sogno e la difficoltà di stare insieme. Siamo relazione, siamo una catena di anelli spesso malfermi e rotti, attratti e impauriti dal contatto. Siamo parole scambiate e travisate, e parlando produciamo storie, fatti, in una giostra inarrestabile. Siamo vertigine. È qui il mio romanzo».  

Una storia che si compie e compone mentre il lettore la legge, nel panorama narrativo allora è un unicum? «In effetti non è mai stato utilizzato questo congegno narrativo, senza voce narrante, interamente basato sul dialogo, con movimento a staffetta che si ricongiunge a cerchio.  Per questo sono felice di averci provato, grazie anche alla fiducia del mio editore. Mi piace rendere protagonista il lettore che mentre attraversa le pagine rintraccia le connessioni e tira i fili della storia».

Il libro inizia con l’analista che ascolta una paziente ma poi si isola in una stanza. Un controsenso… «Questa idea dell’analista che si barrica in una stanza, a casa della sua donna, mi diverte molto. Sono molti gli aspetti comici in questo romanzo. Da lui parte la storia, anzi la macchina del dispetto. L’ha fatto per vendetta, ritorsione, per amore? Ogni personaggio darà la sua lettura, aggiungendo dati e congetture. Il dispetto secondo me è un elemento forte della nostra vita, un dispositivo, più di quanto ammettiamo. Noi tutti siamo autori e vittime spesso inconsapevoli di dispetti, credo che tutta la macchina sociale si muova su questi due elementi: richiesta e dispetto. Tra frenesia, ferocia e sprovvedutezza».

La pioggia domina il romanzo, una pioggia pesante, incombente. Come mai questa scelta? «È una pioggia terrosa, fangosa, inarrestabile. È lo scenario inquieto della vigilia di qualcosa. Esploderà una pandemia? Una catastrofe ambientale? Una guerra? I personaggi si muovono in questo spazio di soglia, sospesi tra euforia e sgomento, cercando equilibrio e verità. O forse solo amore».  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA