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Una laurea a Mimmo Cuticchio, il puparo "italianista"

Il titolo, honoris causa, assegnato dall'Università di Palermo. «La modernità ha portato altre forme di svago. Così, delle tre famiglie, siamo rimasti solo noi»

13 Marzo 2024, 15:53

Mimmo Cuticchio, puparo

Mimmo Cuticchio, puparo

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Una laurea per puparo e pupi. Questi ultimi non saranno alla cerimonia ma Orlando, Rinaldo, Enea e tutti gli altri strizzeranno l’occhio al maestro per la soddisfazione.
Oggi l’Università degli Studi di Palermo conferisce a Mimmo Cuticchio la laurea honoris causa in Italianistica. Da quando Dario Fo e Bob Dylan ricevettero il Nobel per la letteratura, forme d’arte “altre” sono entrate nell’Olimpo della cultura riconosciuta dal mondo accademico.

Una laurea Cuticchio aveva ricevuto nel 2022 dall’Università di Roma Tre: in teatro, musica e danza.
A Palermo la cerimonia per il riconoscimento si terrà oggi all’interno del complesso monumentale dello Steri: i saluti saranno affidato al rettore Massimo Midiri e a Francesca Piazza, direttrice del dipartimento di Scienze umanistiche, Luisa Amenta, (prorettrice e coordinatrice del Corso di Italianistica) leggerà la motivazione, Maria Calogera Castiglione la “laudatio”. Quindi si terrà la lectio magistralis dell’artista su “L’opera dei pupi - una tradizione in viaggio”.

Mimmo Cuticchio tornato da Boston dove ha presentato “L’Histoire du soldat di Stravinskij” (d’estate al teatro di Segesta, poi Roma e Ravenna) il maestro viaggia molto: dal Giappone al Vietnam, dal Senegal all’Australia, agli Emirati Arabi. Non solo con i paladini di Francia ma anche con protagonisti di miti dell’antichità e dell’opera lirica. Nel 2023 ha compiuto cinquant’anni il teatrino di via Bara all’Olivella dove, proseguendo il tragitto del padre Giacomo, Mimmo è andato oltre la tradizione. Troviamo il maestro Cuticchio impegnato a realizzare un documento filmato sullo spettacolo su Santa Rosalia (si celebrano a Palermo i quattrocento anni della riscoperta delle ossa) che resterà nello spazio museale di Palazzo Branciforti assieme ai 108 pupi del padre Giacomo Cuticchio che non si usano più. Ha ripreso con i propri pupi la storia della Santuzza: «Mi tornano in mente alcune sequenze che mio padre faceva e le faccio. È doveroso tutelare la memoria».

L’opera dei pupi resiste ma non è più come una volta.
«A fine Ottocento, come dice Pitrè, c’erano a Palermo e dintorni 125 teatrini. La modernità ha portato altre forme di svago così delle tre famiglie di pupari palermitani – Cuticchio, Argento e Mancuso – siamo rimasti solo noi. Ho continuato perché da figlio maggiore ho trascinato fratelli e sorelle nell’Associazione Figli d’arte Cuticchio. Oggi fra tradizione e nuova generazione ho 1.280 pupi: li tengo dappertutto persino in camera da letto di quelli che non utilizzo sempre».
Ha incontrato altre tradizioni.
«Ogni Paese le proprie tradizioni: in Vietnam le marionette sull’acqua, in Giappone le marionette bunraku, diverse le tecniche. Ad Hanoi i giornali hanno scritto che i pupi siciliani possono insegnare… ma nessuno insegna niente, ogni popolo ha la propria maniera di esprimersi. In Belgio ho trovato una tradizione simile alla nostra ma discende dalla Sicilia. A Tunisi i trapanesi hanno portato quest’arte. Non si fanno più spettacoli ma si continua a fabbricarli solo per venderli».

Molti attori hanno appreso da te l’arte del cunto.
«Chi semina raccoglie, ho tenuto laboratori anche in altre regioni. Baliani e Paolini sono stati a miei laboratori, molti attori sono finiti nel cinema. Non solo Vincenzo Pirrotta ma anche Marcello Cappelli che lavora a Catania è stato ai miei laboratori ma non fanno i cuntisti. Studiano la tecnica. Diventai cuntista perché stando fra i pupi e avendo conosciuto l’ultimo cuntista, Peppino Celano, ne sono stato allievo. Entrai in un mondo epico ma oggi dobbiamo vedere le cose diversamente».
In che senso?
«È positivo che il mondo accademico abbia colto l’eredità di un teatro antico che, se cambia le storie, non tradisce se stesso. Anche a Palermo non mi indicano più soltanto come “puparo”: per spettacoli come i miei bisogna essere drammaturgo, scenografo, capocomico. Ho appreso e conservato dei saperi ma tra “guerre” e “terremoti” e ho oltrepassato il ponte verso una nuova vita. Dopo il riconoscimento Unesco 2001 siamo su tutte le guide del mondo, i turisti mi dicono “continua, raccontaci altre storie».
L’Inferno di Dante, Enea, Ulisse: dà vita con i pupi a storie consegnateci dalla letteratura e dalla musica.
«Ho scritto 60 copioni che spaziano dal Medioevo alle cose più moderne. Mio figlio Giacomo bravo musicista e compositore delle musiche dei nostri spettacoli è la mia speranza. Elisa, mia moglie, mio braccio destro, avrebbe potuto fare il suo mestiere di architetto. Invece ha costruito un futuro assieme a me. Se vado per il mondo è grazie a lei che tiene i fili. Forse la vera marionettista è lei».