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Continua la fuga dal Sud: in un anno è “scomparsa” una metropoli grande quanto Napoli

Di Maria Chiara Furlò |

ROMA – Se raccogliessimo in una sola città tutti i cittadini meridionali che negli ultimi 15 anni si sono trasferiti al Nord o all’estero e non sono più tornati a vivere nelle loro città, scopriremmo che al Sud si è creato un “buco nero” di popolazione paragonabile a quasi tutti gli abitanti di Napoli. Il saldo migratorio, al netto dei rientri, è negativo per 852 mila persone. Come se dal 2002 al 2017 fosse scomparsa un’intera grande metropoli del Mezzogiorno.

A far luce sulla gravità della «fuga» dal Sud è la Svimez che nelle anticipazioni del suo “Rapporto sull’economia e sulla società del Mezzogiorno” fa notare come la vera emergenza italiana sia l’emigrazione dal Sud (soprattutto giovanile, il 72% di chi lo lascia ha meno di 34 anni) e non l’immigrazione. Visto che sono di più i meridionali che emigrano al Centro-Nord o all’estero per lavorare o studiare, che gli stranieri immigrati regolari che scelgono di vivere nelle regioni meridionali. L’allarme riguarda specialmente la perdita di popolazione, giovanile e qualificata, che viene solo parzialmente compensata dai flussi di immigrati. Una situazione che rende ancora più preoccupante lo spretto della recessione in un territorio, come quello del Sud, che continua a non crescere, anzi rischia di tornare indietro. I dati Svimez «rafforzano le nostre richieste avanzate al governo – ha commentato il leader della Cgil Maurizio Landini – E’ necessario un piano straordinario di investimenti per il Sud».

Nel progressivo rallentamento dell’economia italiana, «si è riaperta la frattura territoriale che arriverà a segnare un andamento opposto tra le aree, facendo ripiombare il Sud nella recessione da cui troppo lentamente era uscito», avverte Svimez. Stime alla mano, infatti, secondo l’associazione, nel 2019 l’Italia si ferma ma il Sud entra in recessione con un andamento del Pil previsto in diminuzione dello 0,3% (mentre il Centro-Nord segna un +0,3%).

Non va meglio se si guarda al lavoro. Il gap occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord nel 2018 è stato pari a quasi 3 milioni di persone e negli ultimi due trimestri dello scorso anno e nel primo del 2019 gli occupati al Sud sono calati dell’1,7%, mente al Centro-Nord sono cresciuti dello 0,3%. Da questa fotografia emerge che «siamo all’ultima spiaggia per il Sud ma anche per l’intero Paese, perché non stanno aumentando solo i divari tra Centro-Nord e Mezzogiorno, ma anche tra Nord ed Europa». Ha fatto notare il presidente Svimez, Adriano Giannola, per il quale prima di parlare di autonomia regionale «bisognerebbe fare il tagliando a come si usano le risorse oggi. Ed è sgradevole per le aree cosiddette “forti” del paese».

Il rischio è che l’area meridionale si allarghi ulteriormente, perché perfino le Marche e l’Umbria, per Giannola, «sono reclute che si avvicinano pericolosamente a entrare tra le regioni del Sud, sono già retrocesse, sono in transizione». Nel 2018, Abruzzo, Puglia e Sardegna hanno registrato il più alto tasso di sviluppo (+1,7%, +1,3% e +1,2%), mentre la Sicilia si pone in una fase di crescita intermedia con un trend positivo dello 0,5%. . La Calabria, invece, è l’unica regione, non solo meridionale ma italiana, ad accusare un flessione del Pil dello 0,3%.

In questo contesto, Giannola giudica “surreale” il dibattito sull’autonomia differenziata richiesta da regioni come Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. «Bisogna ragionare in modo cooperativo, altrimenti in futuro affronteremo problemi gravi. L’austerità l’ha pagata il sud, con il crollo del proprio reddito, e il nord ha pagato la frenata del sud. Il problema è unico. Serve una politica sensata con un ruolo più chiaro dell’Italia nella dimensione mediterranea», suggerisce Giannola.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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