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Crisi Petrolchimico: 7.500 posti a rischio. A Siracusa aleggia il “fantasma” dell’Ilva

Di Mario Barresi |

SIRACUSA – Magari sarà un’impressione – atavica, alimentata da decenni di pregiudizi, ma anche di colpe – eppure, anche in questa domenica tersa, il cielo sopra Siracusa sembra incupirsi appena dall’autostrada lo sguardo incrocia quelle ciminiere.

Non c’è più la zona industriale di una volta.

Nel bene. E nel male.

Qui, dove il Petrolchimico abbraccia quella che gli anziani ricordano come la parte più incontaminata di una costa stupenda, alla vigilia della ripartenza nella Sicilia in zona gialla, rivendicano con orgoglio di non essersi mai fermati. E non potrebbe essere altrimenti, visto che il Petrolchimico – decine di aziende, fra cui alcune multinazionali, 7.500 occupati fra diretto e indotto – rappresenta il 37,5% dell’export regionale, pesando per 12 miliardi di fatturato sul Pil della Sicilia.

Eppure fra questi enormi mostri d’acciaio e di fumo – per carità, meno mostruosi negli ultimi anni e non solo per i prati all’inglese e le macchinette elettriche che scorrazzano dentro gli stabilimenti; ma soprattutto per centinaia di milioni investiti su bonifiche e riduzione di emissioni e impatto ambientale – si aggira un nuovo inquietante fantasma.

Quello dell’Ilva.

Il declino del business della raffinazione e la delocalizzazione spinta di alcuni colossi, ma anche i costi delle norme anti-inquinamento. Dall’estremo lembo meridionale di un’Europa che punta tutto sulla transizione ecologica, si respira l’odore di «una crisi epocale, senza precedenti», come ammette Diego Bivona, navigato manager industriale, presidente di Confindustria Siracusa. Le aziende si rimpiccioliscono o addirittura pensano di chiudere gli impianti. E il rischio concreto è di trovarsi, da qui a pochi mesi, davanti a una raffica di vertenze come (e anche peggio) di quella di Taranto.

Allora bisogna prevenire, molto prima di trovarsi a curare un malato terminale. Ed è questo il senso di un percorso – delicato, complicato, tutt’altro che scontato – di cui domani si compirà il primo passo. Proprio a Siracusa, alla presenza del governatore Nello Musumeci, con la firma di un protocollo fra la Regione, 11 Comuni del Siracusano, le aziende del Petrolchimico (Lukoil, Sonatrach, Sasol, Versalis, Erg Power, Air Liquide), Confidustria Sicilia, i sindacati, l’Autorità portuale Sicilia orientale, la Camera di Commercio del Sud-Est.

L’atto propedeutico di una richiesta decisiva per salvare il Petrolchimico: l’istituzione della cosiddetta “area di crisi industriale complessa”, che dovrà riconoscere il ministero dello Sviluppo economico. Ed è proprio il Mise a definire le «aree che riguardano specifici territori soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di rilevanza nazionale e con impatto significativo sulla politica industriale nazionale, non risolvibili con risorse e strumenti di sola competenza regionale».

Per il governatore (che segue da mesi il dossier, affidato all’assessore alle Attività produttive, Mimmo Turano) il via libera all’area di crisi industriale complessa «è la condizione necessaria per attivare tutte le possibili misure di sostegno economico e finanziario, attivando risorse finanziarie comunitarie, nazionali e regionali e individuando le agevolazioni, gli incentivi e gli strumenti finanziari utili alla realizzazione della riconversione industriale». E Musumeci esplicita l’obiettivo di «portare il tema sui tavoli nazionali per evitare che le difficoltà incipienti possano portare ad una crisi vera e propria e irreversibile del polo petrolchimico di Siracusa che avrebbe anche serie ricadute anche sul sistema industriale nazionale».

Per Confindustria, che dà atto «al governo regionale e al prefetto di Siracusa di un percorso di ascolto e condivisione», si tratta di «uno strumento che servirà ad accendere i riflettori nazionali su un polo senza eguali in Italia», attraversato secondo Bivona «da una situazione fortemente critica, in un momento in cui la transizione ecologica è strettamente connessa a dei nuovi sacrifici chiesti alle aziende, che hanno già investito miliardi in bonifiche e riduzione dell’impatto ambientale». Nonostante ciò, i fatti parlano chiaro: a Siracusa (che mantiene la maggiore quota di occupati nell’industria, il 12,4%, e il più alto indice di specializzazione manifatturiera, pari a 0,66, di tutte le province siciliane) la smobilitazione è già molto più che una minaccia.

Prima la minacciata, ma poi scongiurata, fermata degli impianti di Lukoil per manutenzione a inizio anno, in una strategia che fonti vicine al management dei russi definiscono «più che di riorganizzazione, di sopravvivenza per non chiudere»; poi la vertenza dei 130 lavoratori della Bpis; in mezzo lo spegnersi degli entusiasmi per il piano di investimenti del gruppo Eni, su cui si teme un effetto-domino dopo il parziale disimpegno da Porto Marghera che potrà avere ripercussioni a Priolo su Versalis.

L’effetto più devastante è sull’occupazione. Gli attuali 7.500 lavoratori (3.250 nelle grandi aziende, 2.500 nell’indotto soprattutto metalmeccanico e oltre 1.000 nelle imprese di servizi) sono il risultato di un’emorragia decennale con migliaia di posti di lavoro già persi. Ed è comprensibile che per i sindacati il protocollo riveste «una notevole importanza per la nostra zona industriale», anche perché «al suo interno è compresa una serie di garanzie fondamentali per tutti i lavoratori», in un contesto in cui «il polo industriale, nonostante la crisi energetica accresciuta in questo ultimo anno dalla pandemia, continua a restare un punto di riferimento per l’economia siracusana e siciliana».

Vera Carasi, segretaria di Ust-Cisl di Siracusa e Ragusa, esplicita il concetto: «Chiediamo un sostegno al reddito e la completa ricollocazione degli addetti in caso di riconversioni dei siti. Poi, per l’indotto sottolineiamo l’esigenza di gare più trasparenti che garantiscano i posti di lavoro eliminando la prassi del massimo ribasso e rispettando le tabelle ministeriali sulle paghe orarie».

Nel protocollo d’intesa (sarà consegnato oggi ai firmatari, ma La Sicilia ha avuto modo di consultarlo nell’ultima bozza) ci sono molti input sulla «trasformazione dell’industria petrolchimica e chimica, con importanti e indispensabili investimenti sui processi di “decarbonizzazione”». Nelle 9 pagine anche gli «orientamenti per la riconversione industriale», con alcuni progetti complessivi: un impianto per «la produzione del metanolo partendo da gas naturale o da asfalto», uno di “High-Efficiency Ocgt” per «la produzione di energia elettrica», uno per la produzione di biocarburante, ma anche un rigassificatore, definito nel documento «una nuova unità di gassificazione per la produzione di gas di sintesi dai rifiuti, per essere utilizzato per la produzione di idrogeno green e, successivamente, in idrogeno per elettrolisi o per produrre sostanze chimiche».

Nel protocollo anche «le prime proposte progettuali» di Lukoil (basate su «decarbonizzazione ed efficienza energetica», «economia circolare» e «idrogeno»), Sonatrach e Sasol (che puntano su impianti-pilota di «carbon capture»), Erg Power (con il «Turbogas ad alta efficienza»), Air Liquide (impegno alla «decarbonizzazione del sito») e Versalis (conferma «la propria vocazione territoriale»).

In un contesto in cui l’Autorità portuale di Augusta «conferma il pieno interesse alla conservazione delle concessioni demaniali» e «crea tutte le possibili integrazioni con le opportunità offerte dall’area Zes Sicilia orientale» e la Camera di Commercio gioca il ruolo di «agente di sviluppo», sarà la Regione il motore con «iniziative di sviluppo sostenibile a forte caratterizzazione innovativa», con la prospettiva, inedita, di avviare con il ministero della Transizione ecologica una trattativa «per la riperimetrazione del Sin (Sito di interesse nazionale, ndr), escludendo le aree non contaminate, utili per l’insediamento di nuovi investimenti industriali» guardando alla loro «compatibilità» con i progetti di bonifica di acque e suoli.

Nel protocollo, su esplicita richiesta dei sindacati, anche gli «impegni per la salvaguardia e lo sviluppo dell’occupazione». Fra i quali ne spicca uno: «Nel caso di temporanea fermata degli impianti, il piano di riconversione del Polo – si legge nella bozza dell’articolo 4 – prevederà un programma di gestione delle risorse umane, attraverso strumenti gestionali che mirano a salvaguardare l’occupazione e la professionalità del territorio nonché procedure di mobilità per le risorse umane che possono maturare requisiti pensionistici in tempi brevi».

Ma si guarda anche avanti: con i «nuovi investimenti» sono «da prevedere nuove assunzioni», ma anche «specifici percorsi formativi tecnici» allo scopo di «creare nuove figure professionali per accompagnare la transizione energetica».

Il futuro remoto, insomma. Costruito su un presente di sospetti e paure. Si parte domani, con 25 firme su un protocollo. Uno dei tanti; o forse quello decisivo, al tempo del Recovery. Il resto, poi, si vedrà. Speriamo.

Twitter: @MarioBarresi

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