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Dal certificato di esistenza in vita al «pluviometro obsoleto», le storie dei siciliani in lotta con la burocrazia regionale

Di Mario Barresi |

CATANIA – Un destinatario (ancora poco più che potenziale) dei «soldi dell’Europa», nel bel mezzo dell’istruttoria, ha dovuto sfoggiare un’atarassica indulgenza. «Manca un documento alla sua pratica: il certificato di esistenza in vita», lo rimprovera, serioso, un funzionario regionale. Aggiungendo, con un sorrisetto ammiccante: «Però, se vuole, può fare l’autocertificazione…». E così ha fatto il nostro eroe della pazienza, prendendo carta e penna: «Il sottoscritto (…) consapevole delle sanzioni penali cui può andare incontro in caso di falsità in atti e dichiarazioni mendaci (…) dichiara di essere tuttora vivente…». Aggiungendo, a metà fra il malizioso e lo scaramantico, «… e spera di esserlo ancora a lungo, magari per arrivare a vedere conclusa la pratica di finanziamento della sua azienda». Il burocrate storce il naso: «Non so se così va bene. Se è necessaria una modifica le faccio sapere…».

Ecco, questa storia simboleggia – nel non sapere se ridere o piangere, con una propensione per la seconda ipotesi – la lotta quotidiana di centinaia di imprenditori (o aspiranti tali) siciliani contro il “mostro”. La burocrazia, già di suo tutt’altro che friendly, nell’istruttoria delle pratiche sui fondi – rigide e ridondanti in origine, ma rese ancor più diaboliche da alcune scelte regionali – dà il meglio di sé. O il peggio, in base ai punti di vista. Parlando con i malcapitati, riuniti in associazioni convenzionali di categoria e più spesso in gruppi social, le storie fioccano.

Ma non è soltanto una questione di cavilli e di marche da bollo. Un modello da manuale su come non si usano bene gli aiuti comunitari è mettere pochi fondi in misure utili e con molte richieste, magari privilegiando bandi utili soltanto a qualche amico degli amici. Si tratta forse dell’azione più significativa del Fesr: la 1.1.5 “Sostegno alla valorizzazione economica dell’innovazione” attraverso la sperimentazione e l’adozione di soluzioni innovative nei processi, nei prodotti e nelle formule organizzative, nonché attraverso il finanziamento dell’industrializzazione dei risultati della ricerca”.

In palio, a fronte di un iniziale plafond di 56 milioni (assolutamente ridicolo per la quantità e la qualità dei progetti), un totale di quasi 240 milioni. Ma qui abbondano le richieste, con in campo tutte le università siciliane e alcune multinazionali con sede in Sicilia. Sembra strano che fra i 101 progetti giudicati “finanziabili” non ci siano quelli di colossi come StMicroelectronics, Sifi e Namirial, ma queste sono altre storie. Ben diverse da quella di un’azienda catanese che, ricorda il consulente-progettista, «aveva chiesto il finanziamento per una piattaforma logistica hi-tech per la gestione di auto in modalità smart» e che s’è vista fare le pulci perché «il pluviometro adottato era obsoleto».

In attesa, da luglio 2017, ci sono iniziative ad alto tasso di innovazione, proposte da eccellenze siciliane, che rischiano di diventare obsolete quando arriveranno i fondi. Nel purgatorio delle «operazioni ammesse non finanziabili per carenze di risorse» ci sono altre 14 aziende che aspettano l’arrivo di ulteriori 100 milioni, assicurati dall’assessore alle Attività produttive, Mimmo Turano. «Ma resteranno comunque fuori fior di progetti e non si capisce perché se una misura funziona non si debba investire massicciamente», commenta un fortunato ripescato.

Un altro bando gettonatissimo è quello dell’azione “3.5.1.01” del Fesr Sicilia “Aiuti alle imprese in fase di avviamento”. «Ci sono in tutto circa 1.500 istanze – racconta un imprenditore etneo che ha presentato un progetto innovativo sul turismo – e agli iniziali 20 milioni sono stati aggiunti altri fondi, fino ad arrivare a 121 milioni. Ora, ci sono 350 progetti finanziabili, ma le procedure di rendicontazione e certificazione procedono molto a rilento. Non c’è tempo per fare il “click-day” né per pensare a un nuovo bando, ma a nessuno, in assessorato, sembra interessare che centinaia di imprese, quasi tutti con giovani e donne in prima linea, chiedono uno scorrimento della graduatoria che ci era stato assicurato».

Anche peggio sta l’agricoltura. Il Piano di sviluppo rurale segna il passo. Ed è stato uno dei punti di scontro fra Coldiretti e il governatore Nello Musumeci. «Dal 29 maggio 2017 ad oggi 1.625 giovani imprenditori aspettano di insediarsi e si rischia di perdere le somme previste dal Programma di sviluppo rurale», l’accusa dell’associazione di categoria sul pacchetto di misure per gli agricoltori under 40.

Ma il caso più grave riguarda l’azione più importante per il comparto: la “4,1”. Una delle più ambite, perché finanzia fino al 70% gli investimenti aziendali: dalle coltivazioni ai macchinari, passando per l’acquisto o la ristrutturazione di fabbricati. Ferma, nonostante proteste, audizioni in commissione Attività produttive e ordini del giorno all’Ars, la graduatoria. Su 2.574 partecipanti, in 616 hanno raggiunto la finanziabilità. Il budget però è limitato a 100 milioni di euro e solo 104 richieste sono state ammesse a finanziamento. Ma il plafond teorico è di 424 milioni. Il bando è del dicembre 2016 e la procedura è stata oggetto di una raffica di ricorsi, in tutto 108, spesso per «criteri di valutazione molto difformi» con talvolta un sospetto niet all’accesso agli atti da parte degli uffici.

«Questo governo – aveva detto Musumeci a Coldiretti – ha dato un impulso determinante per ridurre il contenzioso e la conflittualità con le imprese, per mettere in campo misure largamente attese dagli agricoltori, come biologico e viabilità rurale e per avviare la decretazione dei progetti». Ma gli imprenditori, anche in questo caso, chiedono lo scorrimento della graduatoria. Di parere opposto l’assessorato, con il dirigente Dario Cartabellotta, consapevole dei problemi attuali, ma più propenso a lanciare un nuovo bando “griffato” da lui stesso medesimo.

«Ma quanto tempo ci vorrà? E cosa diremo ai nostri figli?», si chiede l’imprenditore catanese Giuseppe Ciulla. Che ha presentato un progetto per la produzione super intensiva di mandorle biologiche. «Ho un accordo con un’azienda tedesca che me le pagherebbe a 14 euro al chilo. Ma come faccio a spiegargli che qui è tutto bloccato?». Così come sarà complicato per un agricoltore di Favara interloquire con i suoi partner commerciali: la sua uva “di alta qualità idroponica” (coltivata fuori suolo) è talmente pregiata che potersela permettere sono gli importatori di Arabia Saudita a Qatar. Chissà quanto dovranno aspettare ancora.

Twitter: @MarioBarresi

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