LA CRISI
Nel Canale di Sicilia non c’è più pesce: alla radici dell’esaurimento delle risorse ittiche del Mediterraneo
L'allarme di pescatori e armatori dell'Isola: e c'è chi chiede una indagine scientifica
«Nel mare Mediterraneo c’è qualcosa che non va». Pescatori ed armatori siciliani continuano a lamentare la scarsa pescosità dello specchio d’acqua che da secoli rappresenta una grande risorsa economica per la Sicilia. Il settore sta vivendo una crisi come mai in passato. Da mesi gli operatori elencano tutta una serie di concause: dai paletti imposti dall’Unione Europea ai piani di gestione regionali, fino alle bombe di aria compressa lanciate in mare da navi regolarmente autorizzate dal ministero dell’Ambiente.
Oggi c’è chi, come Totò Martello, presidente del Consorzio Cogepa di Lampedusa che raccoglie la marineria di Lampedusa e Linosa, rilancia l’allarme e chiede con forza «che vengano fatte delle indagini in tutto il Mediterraneo per comprendere le ragioni per cui nel canale di Sicilia non ci sono più pesci».
Da gennaio le associazioni di categoria avanzano richieste di ascolto, ci sono stati vari incontri con il Governo regionale, con i parlamentari siciliani a Roma e con diversi eurodeputati isolani. Ma al momento non si hanno notizie di soluzioni. Anche perché le problematiche riguardano aspetti non solo di carattere regionale, ma soprattutto nazionale e comunitario.
Al di là di un approfondimento scientifico che oggi appare quanto mai opportuno, è urgente affrontare il caso dei tratti di mare chiusi da anni per favorire il ripopolamento ittico. Ai pescherecci viene impedito di battere determinati tratti di mare e sono costretti da anni a concentrarsi in specchi d’acqua sempre più limitati, dove il pesce ormai scarseggia. Le associazioni di categoria ritengono che l’Unione europea faccia un grave errore ad assimilare la pesca oceanica a quella del Mediterraneo.
Il paradosso
Ed accade la paradossale situazione di zone inibite ai pescatori siciliani ma non a quelli di Tunisia, Marocco e Libia, che vi pescano liberamente. A Strasburgo ci sono due siciliani che fanno parte della commissione Pesca dell’Ue, Giuseppe Lupo del Partito Democratico e Giuseppe Milazzo di Fratelli d’Italia: entrambi hanno assunto l’impegno di promuovere un incontro delle rappresentanze dei pescatori siciliani con il commissario europeo della Pesca Costas Kadis, in carica dal dicembre del 2024. Essendo Cipro un Paese che si affaccia sul Mediterraneo (in passato ci sono stati commissari di Paesi del Nord Europa), si auspica un’adeguata sensibilità sull’argomento.
C’è poi la questione dei tratti di mare chiusi dagli attuali “piani di gestione regionali”, di competenza del governo Schifani. Sono ulteriori aree di pesca al largo dei territori provinciali di Agrigento e Trapani dove le imprese siciliane non possono operare, che limitano dunque ulteriormente la loro attività. Da un incontro con l’assessore regionale Salvatore Barbagallo è emersa alcune settimane fa l’idea di una revisione di questi piani, ma senza nessuna certezza su una possibile riapertura delle zone attualmente chiuse. L’assessore ha comunque assunto l’impegno ad aprire un dialogo diretto con il ministero delle Politiche agricole.
C’è poi la vicenda “Airgun”, ovvero le bombe ad aria compressa lanciate da anni nel Mediterraneo alla ricerca di idrocarburi. Per i pescatori è un’altra delle cause di carenza del pescato. Dopo un incontro con le associazioni, l’assessore regionale all’ambiente Giusy Savarino ha investito Ispra ed Arpa per effettuare i dovuti accertamenti. L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale nei dossier fino ad oggi pubblicati ha però sempre escluso possibili conseguenze negative per la fauna marina.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA