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IL REPORT

Studiare paga: ecco le lauree (e le università) che fanno guadagnare di più

Nell’arco della vita lavorativa, un laureato ha in media un salario superiore del 45% rispetto a un non laureato

Di Rosario Faraci* |

Studiare paga? O bisogna pagare per studiare? Sembra una domanda di Gigi Marzullo, ma il dubbio è più che legittimo. Sebbene con qualche cautela, proviamo a rispondere e fare qualche ragionamento. Cominciamo però con un’altra domanda, di interesse per le famiglie alle prese in questo mese di agosto con le scelte post-diploma dei propri figli. L’Italia ha un alto tasso di disoccupazione giovanile (34,8%); è primo per numero di Neet (oltre 2 milioni, pari al 23,1% del totale dei giovani 15-29 anni); presenta una forte discrasia (anche fino al 40%) fra le competenze possedute dai laureati e quelle richieste dalle imprese; nei primi anni, il salario dei laureati triennali non è molto differente rispetto a chi lavora solo col diploma. Quindi, iscriversi all’Università ha ancora senso per ottenere un lavoro e provare guadagnare di più? 

La risposta la offre University Report, la settima indagine dell’Osservatorio JobPricing (insieme a Spring Professional) che è specializzato nel monitorare le buste paga dei lavoratori. 

Studiare paga, nessun dubbio. 

Nell’arco della vita lavorativa, un laureato ha in media un salario superiore del 45% rispetto a un non laureato, ovvero 12.500 € in più di retribuzione annua lorda (Ral). Ovviamente, i primi anni dopo la laurea triennale il differenziale è basso; ma la relazione tra istruzione e salario è chiara: maggiore è il titolo di studio, maggiore è la retribuzione. La crescita retributiva dei laureati aumenta man mano che ci si sposta dalla fascia 25-34 anni, a quelle 35-44 e 45-54 anni. Un livello di studio superiore dischiude prospettive di carriera migliori, con ruoli di maggiore responsabilità e meglio retribuiti. Tuttavia, in Italia ci si laurea ancora poco, a confronto con altri Paesi: 28,9% contro una media del 45,6%, secondo i dati Ocse. Questo però è un altro discorso.

Le lauree più remunerative sono quelle nelle discipline Stem, ovvero scienza, tecnologie, ingegneria e scienze matematiche. Ad esempio, la Ral dei laureati in ingegneria tra 25 e 34 anni è tra l’8,5% e l’11,1% superiore alla media. Parliamo di un “calderone” in cui ci stanno: ingegneria chimica e dei materiali; informatica, elettronica e delle telecomunicazioni; meccanica, navale, aeronautica e aerospaziale; gestionale. 

Invece, chi ha una laurea in scienze storiche e filosofiche oppure in scienze psicologiche e pedagogiche è sotto la media rispettivamente del 6% e dell’8,2%. Ovviamente, non è la qualità degli studi che fa la differenza. È il mercato che detta tali metriche retributive, in funzione della richiesta di personale specializzato da parte di aziende ed organizzazioni. 

Nell’analisi di JobPricing, le lauree che pagano di più sono conseguite nei Politecnici e nelle Università private. Infatti, guardando alla Ral dei laureati di età 25-34 anni, è di 34.413 euro la busta paga annuale di chi consegue il titolo alla Bocconi. A seguire Politecnico di Milano (32.891), Luiss (32.769), Università Cattolica (31.735) e Politecnico di Torino (31.671). Tuttavia, negli ultimi due anni c’è stata una leggera flessione dello 0,83%: la media Ral che nel 2019 era 30.731 euro, nel 2021 è stata di 30.476 €. In questa stessa fascia d’età (25-34 anni) la Ral dei laureati siciliani è 30.284 euro (Palermo), 29.543 (Catania), 29.387 (Messina). In questa graduatoria gli atenei dell’isola non sono però fanalini di coda. Venezia, Verona e Cagliari si attestano al di sotto dei 29.000 euro annui. 

Si confermano salari più alti nei contesti territoriali più ricettivi dal punto di vista del lavoro. In Lombardia, le grandi aziende con fatturato superiore a dieci milioni di euro, quelle tendenzialmente più propense ad assumere, sono 12.937, in Sicilia appena 935. Non c’è partita! 

I dati di JobPricing fanno il paio con le rilevazioni di Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati. A cinque anni dal titolo, i laureati di molti Atenei del Nord risultano pagati meglio di altri. Interessante è il dato relativo al cosiddetto payback, ovvero il tempo necessario per ripagarsi gli studi, comparando costi, mancati introiti (quando si studia non si lavora) e scalini di crescita retributiva a partire dalla laurea conseguita entro i tempi. 

Secondo JobPricing, per tutti i laureati il payback è superiore ai 10 anni e per i fuorisede il tempo si dilata di più, tenendo presente che, rispetto ai residenti in sede, ci sono da sostenere, oltre le tasse universitarie, i costi di vitto, alloggio, mobilità urbana e i viaggi A/R dalla residenza al luogo universitario. 

In testa c’è il Politecnico di Milano: chi consegue una laurea in quell’Ateneo se la ripaga in 13 anni, in 16,1 se è fuori sede. Al secondo posto il Politecnico di Torino: i due dati sono rispettivamente 13,8 e 16,2 anni. Chi si laurea a Catania si ripaga il titolo di studio conseguito in 16,7 anni (19 per i fuori sede); a Palermo in 16,8 anni (19,5 per i fuori sede); a Messina in 17,6 anni (19,9 per i fuori sede). 

Essendo disponibili i report degli anni precedenti, si può fare qualche comparazione. Ad esempio, il tempo di payback si è dilatato percentualmente più per i laureati delle Università del Nord che per quelli provenienti dagli Atenei meridionali. Il differenziale sarebbe dovuto al maggior costo della vita, soprattutto per i fuori sede; ma naturalmente anche al fatto che la migrazione dal Sud è cresciuta, aumentando l’esercito di coloro che optano per studiare altrove. 

Quindi, riassumendo. Si va fuori per studiare al fine di trovare subito un lavoro, possibilmente più remunerativo. Però, essendo fuori sede, ci potrebbe volere più tempo per ripagarsi la laurea completamente (il famoso payback) perché va considerato il più alto costo della vita, ripreso a crescere dopo il Covid. È questo un circolo vizioso che rischia di creare laureati di serie A e di serie B in un Paese che soffre già di altri divari territoriali, cui si aggiungono quelli di genere (uomo-donna), intergenerazionali (adulti-giovani) ed economici (ricchi-poveri).

* Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese – Università di Catania  

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