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Pmi pagano 19 miliardi di tasse in più dei big del web

Contro i 186 milioni secondo studio Cgia di Mestre

Di Redazione |

VENEZIA, 10 GIU – Nel 2020 le piccole imprese con meno di 5 milioni di euro di fatturato hanno versato 19,3 miliardi di euro di imposte. Nel 2021, invece, le 25 filiali italiane dei principali gruppi mondiali di web e software hanno dato 186 milioni di euro. Lo rileva la Cgia secondo cui nell’ultimo anno in cui i dati sono disponibili i piccoli imprenditori hanno pagato 19,1 miliardi in più dei big del web presenti in Italia. Additati di essere i principali responsabili dell’evasione, il popolo delle partite Iva, invece, paga un ammontare complessivo di tasse 104 volte superiore ai giganti del web che nel 2021 hanno registrato nel 2021 un giro d’affari in Italia pari a 8,3 miliardi di euro; il numero di addetti occupati in queste realtà era pari a 23 mila unità e al fisco italiano hanno versato solo 186 milioni di euro. I 3 milioni di piccole imprese con meno di 5 milioni di fatturato, invece, nel 2020, anno in cui molte di loro a causa del Covid sono state chiuse per mesi, hanno generato un fatturato di 735,8 miliardi e il contributo fiscale è stato di 19,3 miliardi di euro. Se il livello medio di tassazione delle big tech è, secondo Mediobanca, al 33,5%, nelle nostre piccole realtà si aggira attorno al 50% cento. Le ragioni per cui le controllate presenti in Italia delle multinazionali del web possono beneficiare di un tax rate del 33,5% derivano dal fatto che il 30% circa dell’utile ante imposte è tassato nei Paesi a fiscalità agevolata che ha dato luogo a un risparmio fiscale cumulato che, nel periodo 2019-2021, è stato di oltre 36 miliardi di euro. Una prima soluzione potrebbe giungere dall’applicazione di una minimum tax con aliquota al 15% in capo alle multinazionali che fanno fatturati oltre i 750 milioni di euro. La misura, introdotta da una direttiva europea del dicembre 2022, entrerà in vigore dal 2024 e dovrebbe consentire al nostro erario di incassare 3 miliardi aggiuntivi. Ma, ricorda la Cgia, anche alcuni grandi player italiani hanno trasferito la sede fiscale o quella legale, magari solo di una consociata, all’estero, come nei Paesi Bassi, perché lì è possibile beneficiare sia di una legislazione societaria molto favorevole.

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