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L'intervista
Vecchio: «Montante? Era un’era glaciale fa. Distanti dalla politica»
Gaetano Vecchio, appena eletto alla guida di Confindustria Sicilia, sceglie il porto di Palermo come luogo di partenza
La sua sarà la presidenza «del bicchiere mezzo pieno». Per questo Gaetano Vecchio, appena eletto alla guida di Confindustria Sicilia, sceglie il porto di Palermo come luogo di partenza. Perché è stato il suo gruppo, la Cosedil, a realizzare un’opera diventata subito un simbolo positivo e soprattutto perché è fermamente convinto che «si è aperto un ciclo di 12 anni in cui si può davvero cambiare questa terra».
Infrastrutture
Il focus, naturalmente, è sulle infrastrutture. E non per “deformazione professionale” di un imprenditore che per mestiere le costruisce, bensì perché «sono il prerequisito dello sviluppo», in un modello in cui «Confindustria si occupa di industria, ma l’industria non può fare a meno dei collegamenti». E un precedente da sventolare: il Pil di Noto e del sud-est siciliano dopo che dal 2010 lì è arrivata l’autostrada, con «un aumento quantitativo e una diversa distribuzione qualitativa». Per questo il neo-presidente degli industriali siciliani chiede subito a Renato Schifani «un impegno affinché l’economia siciliana si sviluppi oltre il Ponte». In che modo? «Chiedendo al governo nazionale una compensazione sul fatto che la prima “rata” dell’opera sullo Stretto l’ha pagata la Sicilia (con 1,3 miliardi di Fsc, ndr): finanziare il bypass della tangenziale di Catania e il progetto per alleggerire la circonvallazione di Palermo prevedendo un collegamento diretto con Punta Raisi e, in terza istanza, la Palermo-Agrigento».
Confindustria un corpo intermedio
Ma non è contraddittorio, per chi ha denunciato – nella burrascosa contesa catanese – gli «arroganti condizionamenti» della politica per far diventare Confindustria, come ha scritto Vecchio, «un feudo elettorale»? No, secondo il neo-presidente, perché «Confindustria è un corpo intermedio, portatore di interessi, ma separato dalla politica, con la quale sui singoli temi ci può essere comunanza, ma anche scontro». La linea di Vecchio, per intenderci, sarà impostata sull’«indipendenza, che è garanzia per tutti». Una dichiarazione di impermeabilità che «non sarà facile mantenere», ma la speranza è che «i nostri interlocutori capiscano e apprezzino», anche se «bisogna mettere in conto le ritorsioni di chi non comprenderà il vantaggio di non personalizzare qualsiasi tipo di rapporto».
Il fantasma di Montante
Da qui ai fantasmi di Antonello Montante, il salto logico ci fa ripiombare in un recente passato. Confindustria è davvero uscita da quel tunnel? Il “sistema” del leader a processo è ancora sottotraccia? Vecchio, sul punto, è chiaro. Molto più di altri predecessori: «Quella di Montante è un’era geologica fa». E poi «dal punto di vista personale, ognuno ha la sua storia, che parla per sé», quindi sarebbe un errore tirare fuori «paragoni inutili». Ma, poiché non si parla soltanto dei singoli ma di un’associazione (degli industriali o a delinquere, in base ai punti di vista), il nuovo presidente precisa: «Non accetterò che nessuno di noi venga nominato assessore alle Attività produttive o alla guida dell’Irsap, ma che quei posti, decisivi per lo sviluppo delle imprese, siano occupati dalle persone più brave, più adatte a ricoprirli per merito e competenza».
Nomi e cariche nazionali
A proposito di nomi e di cariche, Vecchio si tiene lontano, almeno per il momento, dal toto-presidente nazionale («Il nome è secondario») e per la guida di Viale dell’Astronomia auspica soltanto un identikit: «La cosa più importante sono i temi, vorrei che il Sud fosse prioritario». E così il discorso non può non cadere sull’autonomia differenziata, «un argomento complesso», sul quale Vecchio non si sbilancia più di tanto: «La Sicilia viene fuori da 50 anni di autonomia speciale, che non ha creato sviluppo, e adesso vediamo come sarà declinata questa riforma del governo nazionale». Preferisce, piuttosto, parlare di «coesione», che è «il tema vero di questo Paese», con l’obiettivo di «interrompere il trend per cui la Sicilia e il Sud sono un bacino di manodopera per il Nord dell’Italia e dell’Europa, mentre esportiamo i nostri laureati dopo averli formati». Un concetto tanto giusto da essere elementare fino a sembrare banale. Ma allora da dove si riparte? Dal Pnrr, «uno strumento utile a costringere l’Italia a fare riforme che in altri Paesi d’Europa hanno già fatto da tempo», ma soprattutto «un’occasione unica, in cui nessuno può permettersi di sbagliare». E la Zes unica? Vecchio è tiepido, ammettendo «qualche perplessità», a partire dalla constatazione che «le due Zone economiche speciali siciliane, finora, non hanno funzionato male». Ora bisognerà «vedere i decreti attuativi». L’altra frontiera è l’Etna Valley, testimonianza che «si può puntare su agricoltura e turismo, ma senza l’industria il paradigma di sviluppo non funziona». Magari declinandola con la sostenibilità, «uno sforzo che i gruppi del Petrolchimico di Siracusa hanno compiuto, spesso costretti a sostituirsi all’intervento pubblico».
Il caro-voli
E, a proposito, la ricetta contro il caro-voli sta tutta «nella concorrenza e nelle dinamiche di mercato», quindi il bonus della Regione è «un intervento lodevole, ma pur sempre tampone». Così come Vecchio per gli aeroporti siciliani usa una sola parola. Che scandisce con cura: «Privatizzazione». Con «il pubblico che deve spogliarsi dalla gestione», perché è impensabile che «una Camera di Commercio debba avere questo ruolo». Ogni riferimento a Fontanarossa non è puramente casuale.