la morte del pontefice
Addio a Francesco, il profeta della globalizzazione dei diritti dell’uomo
Disse di venire «dalla fine del mondo» e a tutti gli angoli del mondo s’è sempre rivolto, a tutte le periferie delle coscienze ha provato a dare una scossa. Predicando la pace nel senso più pieno del termine, non soltanto posando le armi ma anche aprendo le porte alle libertà individuali
Disse di venire «dalla fine del mondo» e a tutti gli angoli del mondo s’è sempre rivolto, a tutte le periferie delle coscienze ha provato a dare una scossa. Predicando la pace nel senso più pieno del termine, non soltanto posando le armi ma anche aprendo le porte alle libertà individuali.
Francesco è stato il Papa di tutti. La sua è stata la voce dei tanti ultimi, dei migranti che idealmente abbracciò scegliendo Lampedusa per il suo primo viaggio, come dei carcerati, degli anziani che ha difeso da quella che ha chiamato la «cultura dello scarto», dei poveri per cui si è spinto a chiedere l’azzeramento del debito pubblico dei Paesi del terzo e del quarto mondo, dei bambini, di Kiev e Gaza certo, ma anche di quelli abusati dai sacerdoti e per i quali ha chiesto scusa e provato «vergogna».
Coraggioso, è stato anche il Santo Padre delle donne, finalmente nominate nei dicasteri pontifici, e degli omosessuali, ammessi nei seminari. Scegliendo il nome di Francesco è stato anche il paladino di un ambientalismo illuminato, ragionato e non fideistico, lanciando ripetutamente moniti, quando non anatemi, verso i grandi (sì, con la “g” minuscola), ponendo alla loro attenzione la Terra, che è una.
Bergoglio ha parlato anche con il silenzio impostogli dalla malattia, fino a far risuonare in modo paradossalmente tuonante le sue parole espresse con tono flebile ancora domenica: un messaggio fortissimo, un inno alla volontà.
È stato un Pontefice per forza di cose mediatico, consapevole della forza delle immagini, dei messaggi, della necessità di apparire – anzi essere – più semplice e meno curiale, proprio per farsi ascoltare. Un Papa di estrazione “conciliare” che ha visto il clericalismo come una «perversione», per citarlo: prete, pastore, prima ancora che capo universale della Chiesa. Forse, non a caso, lo hanno ascoltato più i fedeli dei potenti.
Spesso incurante degli arzigogoli diplomatici che valgono anche per la Santa Sede – e che Francesco ha dovuto combattere dall’interno, perché continua a esistere una Chiesa restìa al cambiamento – ha mantenuto sempre e comunque la postura della “dolce” fermezza.
Dio ha scelto di chiamare a sé Francesco, il profeta della globalizzazione dei diritti dell’Uomo, proprio in questi tempi in cui si alzano muri ideologici, commerciali, financo etnici. Banalizzando, sarà ricordato come un Papa riformista, per qualcuno fors’anche di sinistra. In realtà ha incarnato la sua missione non seguendo un profilo ideologico ma interpretando al meglio la comprensione della gravità del momento storico che viviamo.
La grandezza del suo pontificato, nell’immaginario collettivo, forse sarà meno immediata di quella di Giovanni Paolo II, ma altrettanto profonda. Lo sarà semplicemente, come dire, per sottrazione. Si pensi solo un attimo a questo mondo disordinato senza i suoi appelli per il valore aggiunto del dialogo contro la logica della forza, del riarmo, senza le sue prese di posizione, senza la sua presenza – gigantesca, pur nella fragilità dell’ultimo scorcio di vita – senza lo sguardo perforante e il sorriso complice.
Essendo stato un papato incisivo, con il “dopo Bergoglio” si apre una fase non semplice per la Chiesa e per il mondo tutto. O forse sì, se si vuol credere che la mano di Dio guidi i cardinali chiusi in Conclave per eleggere il vescovo di Roma, il successore di Pietro: accada anche stavolta, lasciando davvero tutto fuori dalle stanze vaticane.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA