L'opinione
Giovani aggressori, il difficile equilibrio tra afflizione e rieducazione
Le considerazioni dopo i fatti di Riposto dove i calciatori 17enni hanno aggredito l'arbitro loro coetaneo
Dopo l’aggressione ai danni del giovane arbitro durante la partita di sabato sera a Riposto, la decisione del giudice sportivo non si è fatta attendere: esclusione della locale società sportiva dal campionato Allievi under 17 per la stagione 2025-2026 e lunga squalifica ai giocatori coinvolti, per sette dei quali fino all’aprile 2030, con preclusione di qualsiasi attività Figc. Una punizione esemplare, sembra potersi dire. Episodi come questo destano sconcerto e preoccupazione, anche perché coinvolgono il mondo dello sport giovanile e dilettantistico che dovrebbe al contrario connotarsi proprio come realtà formativa, se non proprio educativa.
Tuttavia, come ognuno sa, non è che l’ennesimo di una lunga e grave serie di episodi, i più recenti dei quali – come ha fatto sapere l’Associazione Italiana Arbitri – sono avvenuti il giorno prima in Campania e nelle settimane scorse in Veneto, Lazio e altre regioni.Sanzioni così pesanti come quelle decretate dal giudice sportivo in questa occasione paiono indicare che “la misura è colma”. E tra le reazioni a quest’ultima aggressione non sono mancate, come quasi sempre ormai, quelle che propongono di rinforzare la tutela penale dei direttori di gara, fino addirittura ad equipararli sotto certi aspetti, quando siano nell’esercizio della funzione, addirittura alle forze dell’ordine. Guai però, viene da dire, alla società che non riesce a vivere se non brandendo un giorno sì e l’altro pure la spada penale.
Le sanzioni del giudice sportivo non sono naturalmente sanzioni penali, eppure, alla luce del chiaro messaggio reattivo che da esse proviene, ci si può chiedere in che misura siano appropriate rispetto alla condotta di giocatori meno che diciassettenni contro un arbitro sostanzialmente loro coetaneo. La punizione draconiana ai giocatori, squalificati addirittura per cinque anni, non rende ragione del fenomeno che si rispecchia nell’episodio di Riposto, dove il giovanissimo direttore di gara è stato preso a calci e a pugni anche da persone scese dagli spalti. Nel calcio minore – ha notato l’ex arbitro Casarin – sotto l’apparenza della serenità, vi è, «un covo di supporter, genitori e dirigenti incapaci», che bisogna esser pronti a punire, loro sì, in modo esemplare. Scaricare (soprattutto, anche se non solo) sui giocatori il peso di una sanzione interdittiva di ben cinque anni (un’eternità per dei diciassettenni) non sembra in concreto davvero proporzionato. Vero è che ogni sanzione, proprio perché tale, deve avere un contenuto afflittivo; e tuttavia, una sanzione che non sia innanzitutto proporzionata tantomeno potrà poi proiettarsi verso una funzione risocializzativa cui pure dovrebbe aspirare. Ci si muove, naturalmente in un campo assai delicato. Purtroppo l’idea, solo in apparenza elementare, della proporzionalità della pena al reato (o, se si vuole, della sanzione all’infrazione) non offre di per sé alcun criterio di commisurazione certo. Gli unici criteri che si possono applicare sono criteri sostanzialmente pragmatici, basati su valutazioni etico-sociali o di opportunità.
Pur con i loro limiti, si tratta nondimeno di criteri irrinunciabili, anche quando sono e restano in concreto controversi: come nel caso dell’uccisione di Giulia Cecchettin, in cui il senso delle innumerevoli coltellate inferte da Filippo Turetta alla sua vittima, solo con estremo sforzo ermeneutico è stato – a torto o a ragione – sottratto dai giudici al canone aggravante della crudeltà. Piccola materia, al confronto, ragioni, modalità e fenomenologia delle condotte violente contro i direttori di gara.Può darsi che la reazione alla serialità di simili aggressioni meriti in questo frangente ogni più severa stigmatizzazione; ma ciò ha un costo, che coincide propriamente con la rinuncia a considerare con attenzione e fino in fondo su chi e come la sanzione va a colpire. È un metodo che placa il comprensibile istinto reattivo ma che non porta lontano e che comunque resta incoerente e rozzo in un ordinamento che si lusinga di predicare la necessità della tensione rieducativa della pena.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA