Il “colpevole” non è il patriarcato
Perché le donne non sono al sicuro? Non tanto e non solo nelle strade – e già questo, però, è intollerabile e fa paura – quanto addirittura nelle proprie case, nella cerchia dei propri amici? Così, la violenza sulle compagne di scuola, sulle mogli, sulle amiche, sulle sorelle, accende la nostra paura più grande: quella che non esista alcun luogo sicuro, che il male possa colpire ovunque e in modo imprevedibile
“Patriarcato” è una parola tornata di moda, mentre cerchiamo un colpevole per una violenza che magari non è cambiata negli anni ma è diventata sempre più intollerabile ai nostri occhi, e giustamente. La violenza sulle donne non la riusciamo a contenere, non cambia insieme al ruolo della donna nella società e all’assunzione di altri fondamentali diritti da parte delle donne: essere al sicuro è evidentemente un diritto che non basta vedersi assegnato per darlo per scontato. Finché non si sentiranno al sicuro almeno quanto i loro “pari”, gli uomini, le donne continueranno a sentirsi una “minoranza” svantaggiata, e a ragione.
Perché le donne non sono al sicuro?
Perché le donne non sono al sicuro? Non tanto e non solo nelle strade – e già questo, però, è intollerabile e fa paura – quanto addirittura nelle proprie case, nella cerchia dei propri amici? Così, la violenza sulle compagne di scuola, sulle mogli, sulle amiche, sulle sorelle, accende la nostra paura più grande: quella che non esista alcun luogo sicuro, che il male possa colpire ovunque e in modo imprevedibile. La consapevolezza costante di una cosa del genere ci impedirebbe anche solo di progettare una vita. Dare un nome al nemico ci fa quindi sentire un po’ meno in balia degli eventi: e allora ecco il vecchio patriarcato, sempre attuale, questa volta incarnato nell’educazione dei figli, e quindi nella colpa dei genitori.
L'eccesso di semplificazione
Che cosa c’è di male nell’individuare un nemico? Il problema, in questo caso, è l’eccesso di semplificazione e la collocazione del male in un luogo terzo. Patriarcato è un’etichetta: quindi un recinto che dà cittadinanza a chi vi si riconosce. Se non ti riconosci, non ti riguarda: non sei tu, è l’altro. Il concetto di patriarcato crea poi un “noi contro voi”, due fazioni avverse che permettono di distogliere lo sguardo dallo sfondo, mentre lo sfondo è molto meno banale di così. Sullo sfondo c’è una cultura che non crede che gli esseri umani possano cambiare, e quindi consente di disinvestire su di loro. Quanto spendiamo per le scuole, per lo sport, per l’educazione dei nostri figli, per i servizi alla famiglia, per affrontare i costi di un cambiamento radicale dei tempi di vita e di lavoro, perché diventino più adatti all’epoca moderna e alle famiglie di oggi: quanto spendiamo oggi per le generazioni che verranno, non solo in denaro ma in tempo e attenzione, ecco che cosa dà forma alla nostra cultura.
La comunicazione
E poi la comunicazione, le immagini sui media, i modelli di successo: quel che è, oltre a ciò che si dice, quel che è realmente. Il modello di profitto non più discutibile, che fa di adulti e giovani delle macchine di consumo, prima di tutto e sopra a tutto. L’orizzonte temporale, sempre a breve termine, che non lascia respiro per progetti più ambiziosi di sviluppo degli esseri umani, se nella possibilità di progresso della nostra specie credessimo davvero.
C’è una possibilità di investimento nella crescita: non delle dimensioni ma dello spessore degli esseri umani, uomini compresi. Non possono incaricarsene i genitori, e l’ostacolo non è “il patriarcato”. L’ostacolo è la nostra capacità di crederci come società: l’idea che si possa fare, che si porterebbe dietro la voglia di rischiare in una scommessa a lungo termine, in cui siamo disposti a cambiare tutto. Allora, con una narrazione nuova del femminile, come quella che sta a fatica emergendo nel mondo, avrebbe spazio anche una narrazione nuova del maschile, e “patriarcato” diverrebbe a tutti gli effetti l’etichetta di un’epoca antica, che non fa più paura.
Il patriarcato?
Citare oggi il patriarcato come “padre” di tutti i mali ha invece un doppio effetto di esclusione: esclude gli uomini, che nel patriarcato non si riconoscono, e mette ancora una volta al di fuori dalla portata delle donne una soluzione che non sia solo oppositiva. Una soluzione che si basi sull’affermare sé stesse invece che sull’opporsi a qualcosa di preesistente. Difendersi, quindi, trovando la propria identità “di classe”, che è molto di più che una rivolta al patriarcato: c’è nel femminile molto di più di così, ed è quel di più ancora senza luogo e senza nome a far paura a uomini che il patriarcato nemmeno sanno che cosa sia, ché di potere non ne hanno alcuno. Né patriarcato né matriarcato: abbiamo tutti da perdere oggi dal perdurare di una narrazione che vede quello tra uomini e donne come un “gioco a somma zero”. Serve uno sforzo titanico e pieno di coraggio da parte di tutti: non per cercare i colpevoli, ma per immaginare e scrivere, da qui in poi, una storia nuova.
*ceo e fondatrice di Lifeed