IL COMMENTO
Il Leone mite: Prevost e la sorprendente scelta del nome, carico di significati per la Chiesa e l’umanità
Di primo acchito richiama forza e potenza, una regalità che si impone sugli altri; ma evidentemente altro è fare riferimento al leone delle fiabe di Fedro, altro alla storia della Chiesa.
Credo che abbia sorpreso tutti la scelta fatta dal cardinal Prevost di assumere il nome di Leone per il suo ministero di Vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale. È un nome che di primo acchito richiama forza e potenza, una regalità che si impone sugli altri; ma evidentemente altro è fare riferimento al leone delle fiabe di Fedro, altro alla storia della Chiesa.
Al centro di piazza San Pietro, l’obelisco sormontato dalla croce porta una frase che indica la vittoria spirituale sul male: «Ecco la Croce del Signore. Vince il leone delle tribù di Giuda, la radice di David» (Vicit leo de tribu Judae…), un richiamo al Messia che con la forza mite della croce vince il maligno.
Leone è il nome di uno dei pochi papi che ha l’appellativo di “magno”, il pontefice quasi coevo di sant’Agostino, vissuto fra il 390 e il 461. È il Papa più popolarmente conosciuto per aver fermato alle porte di Roma le orde di Attila, non con un’azione di forza, ma con la persuasione; è stato anche il Papa che ha fatto chiarezza nel mondo latino sull’identità di Cristo, vero Dio e vero uomo, nei confronti dell’arianesimo che guardava a Cristo solo come a un uomo.
Nell’omelia che ha tenuto con i cardinali, all’indomani dell’elezione, Papa Leone ha ribadito questa verità, richiamando l’episodio che fa di Pietro, il “suo predecessore” colui che a Cesarea di Filippo, riconosce che Cristo è Figlio di Dio (cf. Mt 16). Ma ci sono altri due richiami al nome Leone. Il primo è all’ultimo Papa che ha scelto di chiamarsi così: Gioacchino Pecci, che a fine Ottocento ha mostrato un atteggiamento nuovo nei confronti della modernità dalla quale il papato di Pio IX era uscito alquanto “malconcio”.
Papa Leone XIII ha riformato la Chiesa in modo mite, con la forza della cultura e di scelte pastorali che hanno permesso di superare la fase del “contrasto” tra modernità e Chiesa, aprendo un processo lento, ma efficace. Scrive ben otto encicliche sulle questioni politiche e sociali dell’epoca del liberalismo, che aveva cambiato il volto dell’Europa, ma la più famosa è la Rerum novarum del 1891, sulla questione operaia che stava dilaniando l’Europa con conflitti che riguardavano la dignità dei lavoratori. Problemi come il giusto salario, l’orario lavorativo, il lavoro delle donne e dei bambini, vengono affrontati proponendo una “terza via” tra socialismo e liberismo, una visione nella quale anche i sindacati dovevano essere luoghi di confronto e non di aspra lotta.
L’azione sociale che ne è scaturita ha rivoluzionato la presenza della Chiesa nel mondo, rendendola più attenta alle questioni sociali, con la libertà propria che viene dal Vangelo. Una rivoluzione mite, insomma.È così che ci appare papa Leone XIV: pacato e deciso allo stesso tempo, attento alle riforme intraprese da Francesco, soprattutto alla sinodalità e alla missione. È lui che Francesco aveva scelto, trasferendolo dai confini del mondo, perché presiedesse alle nomine dei vescovi, coloro che voleva con lo stesso stile missionario degli apostoli.
C’è un ultimo Leone da menzionare, che non è certo il nostro Leone di Catania, vissuto nel secolo VIII e poco mite con gli eretici del tempo: si tratta di frate Leone, il compagno di San Francesco, testimone soprattutto di un episodio dei Fioretti, quello della perfetta letizia, che è la gioia di chi non teme la persecuzione perché sa di stare dalla parte del Vangelo. Ci piace guardare a papa Leone come ad un pastore che farà sintesi di questi uomini che hanno il suo stesso nome, non ricevuto come quello di battesimo, ma scelto con la consapevolezza di cosa significhi per la Chiesa e per l’intera umanità.
*Arcivescovo metropolita di CataniaCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA