Il sonno della Regione genera mostri
Galvagno si difende in Aula in un clima «surreale» ed evoca Craxi: se il sistema è malato, lo è per tutti.
Galvagno non è Craxi. Per la statura sua, con il dovuto rispetto, e di chi lo ascolta in un’aula attonita. Eppure il clima che si respira durante il coraggioso (perché non necessariamente dovuto) showdown del presidente dell’Ars indagato per corruzione rievoca, con le dovute proporzioni, il discorso sul finanziamento illecito ai partiti pronunciato alla Camera dal leader del Psi. Esattamente 33 anni fa.
Galvagno, con evidente emozione, ha argomentato la sua difesa. Che non poteva essere giudiziaria. Ma è stata politica. E lo ha fatto chiamando in causa (quasi in correità) tutti i deputati regionali. Non è proprio il «nessuno è innocente» proferito dall’esule di Hammamet, ma il senso è lo stesso. Perché il presidente dell’Ars, tra le righe, ha lanciato ai suoi colleghi - di maggioranza, ma soprattutto d’opposizione - un preciso messaggio: se il sistema è malato, lo è per tutti. E attenti: se dovesse affondare lui, il rischio è di trascinarsi giù tanti altri. Per non dire tutti.
Ciò che impressiona non è il discorso di Galvagno. Piuttosto: le reazioni. La seduta, lo ripetono in tanti, è «surreale». E non perché non si doveva svolgere. Ma per le parole ascoltate e, soprattutto, per i silenzi. Dai banchi delle opposizioni i balbettanti belati dei capigruppo di Pd e M5S, mentre, con De Luca in versione mansueto cane da guardia del centrodestra, è “Scateno” La Vardera a prendersi la scena.
No, non è bon ton istituzionale. È il riflesso pavloviano agli stimoli di Galvagno. È imbarazzo, quasi paura. Gli stessi sentimenti che in questi giorni hanno portato molti deputati, soprattutto progressisti, allo stalking sui cronisti - gli stessi che nel “processo” d’aula sembravano gli unici imputati - per conoscere chi fossero “Uomo 56” o “Donna 33” citati nelle carte. Perché si riconoscono in molti, in quegli omissis. Se poi persino Cracolici si ribella all’idea che «il parlamento sia un luogo criminogeno dove si fanno leggi ad hoc», allora è il segnale che Galvagno, ieri, ha vinto. Perché il sonno della Regione genera mostri.
Difendere le mancette (a chiunque destinate, compresi gli enti pubblici, senza bandi rigorosi) è anche coprire chi è responsabile degli scandali di Cannes e SeeSicily, cioè FdI; è dare un alibi al governo di Schifani (ieri presente e silente in aula) con un’altra assessora indagata. Nelle intercettazioni «lette sui giornali» non c’è un pruriginoso romanzetto d’appendice. C’è, oltre ai casi di corruzione, la prova di un sistema di spartizione dei fondi regionali. Chi lo racconta non lede la maestà dell’Ars. Dà notizie. Anche di reato. E mette in guardia l’opinione pubblica. Ma ranquilli: in Sicilia oggi non esiste il rischio di un lancio di monetine in stile hotel Raphael. L’unica folla che aspetta i politici è dei clientes trasversali che chiedono qualcosa. E l’ottengono.