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Indipendenza economica subito o affermazione professionale un domani? Le ragazze e il loro futuro lavorativo

La Giornata Internazionale della Donna e il suo significato sociale interpretati attraverso gli ideali di libertà delle ragazze

07 Marzo 2025, 11:43

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La Giornata Internazionale della Donna e il suo significato sociale interpretati attraverso gli ideali di libertà delle ragazze. Di una liceale in particolare, con cui ho appena discusso a lungo sulle possibili opzioni di scelta dell’università. Incerta come tutti i suoi coetanei su quale percorso intraprendere e questo ci sta, ma la scuola fa ancora poco per aiutare loro. Di fronte ai dilemmi della vita, a scelte di possibilità fra ciò che è giusto e ciò che potrebbe essere ancora più giusto, bisogna saper orientare i giovani ad usare senso etico e discernimento; non è una puntata alla roulette. Ma quella è un’altra storia.

Torniamo alla ragazza. Si chiama Giulia (nome di fantasia), come un fiume in piena mi ha raccontato di aver speso gli ultimi due anni in due diversi paesi europei, continuato i suoi studi liceali grazie ai programmi di mobilità studentesca internazionale, imparato due lingue, svolto qualche tirocinio pur di pagarsi un po’ di spese di vitto e alloggio. Una studentessa brillante, ben consapevole della sua condizione di persona libera, grazie (lo presumiamo) ai buoni insegnamenti dei suoi genitori. Coscienziosa nelle decisioni da prendere per il suo futuro.

Quando le ho chiesto cosa volesse fare «di grande nella vita» - perché è così che mi rivolgo di solito ai liceali, non ponendo mai la domanda su cosa voler fare «da grande nella professione», a cui oggi come ieri è impossibile rispondere – la sua replica mi ha spiazzato. «Io voglio essere indipendente subito, ma ho paura di sbagliare, anche se c’è già oggi un percorso di laurea che mi piace» - mi ha detto. Incalzando ancora: «Però non vorrei dipendere da nessuno e perciò sono più propensa a scegliere un corso di laurea che col lavoro mi gratifichi economicamente al più presto, non fra dieci anni. Valuterei anche di fare l’università all’estero. Lei che ne pensa, prof?».

Non è la prima volta che mi trovo di fronte a situazioni del genere. Però la richiesta di Giulia mi ha spiazzato, lo confesso. In fondo, lei rappresenta le giovani donne dei tempi attuali. Più libere rispetto alle ragazze delle generazioni precedenti, grazie anche alle battaglie culturali portate avanti da queste ultime contro gli stereotipi di genere. Libere di scegliere e di essere, come lei ha fatto fin ad ora; libere di esercitare il diritto alla mobilità che, tanto negli studi quanto nel lavoro, è un valore che va difeso e preservato per tutti i giovani.

Però dinanzi a quella determinazione di indipendenza, la libertà di Giulia è come se ad un tratto si fosse bloccata, rendendo più problematica una scelta di per sé difficile per tutti.

La verità è che ancora oggi l’indipendenza economica delle donne italiane è imperfetta. Molte lavorano e sono più autonome rispetto al passato, è vero, ma non hanno ancora le stesse opportunità degli uomini. Lo attestano tutti gli indicatori chiave sulle disparità di genere, che evidenziano una doppia condizione di segregazione verticale ed orizzontale: accesso a taluni lavori non ad altri, stipendi più bassi, progressioni di carriera più lente, più modesta presenza in posizioni apicali di imprese ed organizzazioni, redditi da lavoro autonomo più contenuti, tassi di imprenditorialità innovativa più bassi.

Non è questione di capacità e competenze, perché le evidenze dimostrano che in media le ragazze hanno voti più alti a scuola e all’università, dove conseguono il titolo di studio prima dei maschi. Le percentuali di successo negli studi sono in favore delle donne; hanno una marcia in più.

Il merito si ferma lì, purtroppo. Perché ci sono tante zone d’ombra nel mondo del lavoro che stabiliscono un’altra meritocrazia. E se non si realizza la piena indipendenza economica delle donne, non soltanto nel livello dei redditi ma anche nelle opportunità di affermazione professionale, la loro libertà è nei fatti incompiuta. Condizionata più degli uomini pure dall’esigenza di bilanciare la vita lavorativa con quella personale e familiare. Non bastano solo leggi e programmi ad hoc per compensare il gender gap; qui servono subito nuovi modelli educativi, culturali ed organizzativi.

Cosa fare dunque? Che risposta responsabile dare a Giulia e a tutte quelle ragazze che, come lei, hanno occhi belli ma tristi? Che alternano momenti di luce se parlano dei loro sogni ad attimi di smarrimento, quando si sentono costrette a decidere, e succede spesso anche alle laureate, tra opportunità di indipendenza economica subito e speranza di piena affermazione professionale un domani?

*Giornalista pubblicista
insegna Principi di Management
all’Università degli Studi di Catania