Il commento
Liberazione Brusca, una storia tragica ma alla fine ha vinto lo Stato
Si è dimostrato che è possibile sconfiggere la mafia e che si può condannare un colpevole e tenerlo in carcere per tutti gli anni decisi da una sentenza di un tribunale dello Stato
Un uomo che ha compiuto delitti tra i più efferati e che hanno segnato la nostra storia ha finito gli anni di carcere e di libertà vigilata cui lo Stato attraverso i suoi giudici lo aveva condannato e torna ad essere libero. Certo, il primo impulso è sempre quello di mettere in galera soggetti di tal tipo e buttare le chiavi.Tranne poi a rifletterci un poco ed a considerare che ogni condanna costa alla collettività in termini di risorse da distrarre da altri scopi pubblici, di personale da impiegare nella custodia e di strutture da tenere in piedi. E subito sovviene quel principio che sta nella Costituzione, ma che alla fine è un valore della convivenza e cioè che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
Non so – e nessuno può pretendere di saperlo, forse nemmeno l’interessato – se colui che ha ucciso Chinnici, Falcone, Morvillo, i loro accompagnatori e tanti altri, che ha deciso l’orribile fine del ragazzino Di Matteo, si è rieducato o no.Ma questo alla fine non importa. Perché ciò che importa è che in tutta questa tragica storia ha vinto lo Stato, con la S maiuscola: i poliziotti che lo hanno catturato, i giudici che lo hanno inquisito e lo hanno condannato, i responsabili degli istituti penitenziari dove è stato detenuto. Vince lo Stato e, per una volta, vinciamo tutti noi. Perché si è dimostrato che è possibile sconfiggere la mafia e che si può condannare un colpevole e tenerlo in carcere per tutti gli anni decisi da una sentenza di un tribunale dello Stato.Vince lo Stato perché si dimostra forte e capace di non rinnegare il suo carattere di una democrazia che non ricorre alla vendetta, che non uccide, non tortura, non dimentica i suoi valori di civiltà e riconosce anche ai colpevoli dei delitti più atroci quella dignità che essi hanno negato agli altri. Oggi lo Stato può “liberare” un omicida perché sa che lo può controllare e rendere inefficace ogni suo tentativo di delinquere.
Certo, sotto il versante culturale occorre lavorare molto perché soggetti come chi oggi è ritornato libero non siano considerati miti: che è un pericolo attuale, ma che va affrontato appunto perché ci riconosciamo diversi e vogliamo affermare un modello di civiltà e non di violenza.Il problema non è nuovo. Nel racconto biblico Caino, che aveva appena ucciso Abele, fu chiamato da Dio. Il Signore stesso si trovò davanti un fatto nuovo, non previsto da alcuna previgente legge. Condannò Caino a lavorare duramente; ma il problema – si direbbe il problema di Dio di fronte al delitto dell’uomo – era sempre quello di evitare che gli omicidi si ripetessero. Allora Dio impose a Caino un segno perché chiunque lo incontrasse a sua volta non lo uccidesse. Sul segno di Caino sono state scritte tante pagine: esso presenta il fratricida (e tale è ogni uomo che alza l’arma mortale contro un altro uomo), di modo che egli rimane per l’appunto chi ha macchiato di sangue la terra; ma al tempo stesso il segno protegge l’omicida e pone fine alla guerra di ognuno con tutti gli altri. Di lì a poco si costruì la prima città. Ecco, da quel giorno ogni società deve fare i conti con i suoi Caino. Quel giorno è nata la civiltà dell’uomo, che non nega i problemi ma li affronta.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA