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Covid, rifiuti, allagamenti: i flagelli di Catania e le responsabilità (tra immobilismo e interventismo)

Si poteva fare qualcosa per contenere gli effetti nefasti di quei flagelli, ma non si è fatto

Di Maurizio Caserta |

Qualcosa qui davvero non torna. Scrive così, parlando della città di Catania, il direttore di questo giornale nel suo editoriale di domenica. Parla dell’Annus horribilis di questa città e dei flagelli che l’hanno colpita. E si chiede se è solo un destino avverso dal quale è difficile proteggersi, oppure qualcosa di talmente connaturato a questo territorio da essere immodificabile. La domanda è ovviamente retorica.

C’è invece una responsabilità, nel senso che si poteva fare qualcosa per contenere gli effetti nefasti di quei flagelli, ma non si è fatto. Tutti dobbiamo rispondere, limitatamente ai nostri poteri, per ciò che potevamo fare e non abbiamo fatto. Se Greta Thunberg prestasse un po’ di attenzione alla città di Catania avrebbe gioco facile nel rinfacciare a tutti i catanesi di essere maestri del “bla bla bla”. Il “bla bla bla” consiste nel dire senza fare. Affermare di seguire le regole e violarle poco dopo. Prendere un impegno e non onorarlo. Cos’è allora che bisogna fare esattamente? (magari per dire dopo aver fatto). 

Le città, incluso questa, sono fitte reti di flussi: persone, veicoli, merci, rifiuti, acque, denaro, aiuti. Spetta a chi ha responsabilità pubbliche – lo Stato innanzitutto ma anche gli enti locali – governare questi flussi garantendone la massima fluidità. L’immagine dei rifiuti “bloccati” sulle strade della città di Catania è un’immagine del fallimento di questo sistema di flussi. I rifiuti non defluiscono verso la loro naturale destinazione. È la stessa immagine delle acque che si “fermano” per strada o del traffico che non scorre o degli “ambulanti” che non ambulano.  È pure “bloccato” il governo della città che pur avendo fallito non “defluisce” verso l’esterno delle istituzioni. 

Cosa blocca i flussi della città impedendone il naturale e fisiologico svolgimento? Escludendo il destino avverso che nella maggior parte dei casi non è imputabile, resta la responsabilità individuale e collettiva, passata e presente. Restare fermi può garantire rendite di posizione. È una “comfort zone” che assicura dividendi economici e politici. Spesso quei dividendi sono pure distribuiti, ad assicurare una vasta area di consenso al blocco. Non sembri solo un’ipotesi teorica. È così che si fa quando un flusso si blocca; si cerca l’ostruzione. Quando si trova si rimuove. È questo dunque che bisogna fare: cercare l’ostruzione e rimuoverla. 

Come ci ricorda nell’editoriale il direttore del giornale, qui non servono supereroi, bastano persone normali che, senza pregiudizi o interessi personali da difendere, si preoccupino di studiare il caso e intervengano immediatamente. 

Valga un piccolo esempio per tutti. Molte attività commerciali occupano illegittimamente il suolo pubblico. Ciò ha una serie di effetti esterni negativi sul normale svolgimento della vita di una città. Qui occorrerebbe che un “ispettore” dello Stato o del Comune intervenga per far rimuovere il blocco. Se non interviene, è perché qualcuno – nella catena del comando – trae un vantaggio da quell’inerzia. Normalmente questo vantaggio prende la forma di un pagamento (di qualche natura) proveniente da chi è il destinatario finale di quell’inerzia (in questo caso il commerciante) che ovviamente trova conveniente fare questo pagamento piuttosto che rispettare le norme. Un piccolo esempio, che riguarda piccoli affari. Ma è uno schema facilmente replicabile quando l’affare è più grosso. 

Come diceva Giovanni Falcone, “Follow the money”.    COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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