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IL COMMENTO

I rave party, il nuovo reato e lo scivolone della Destra

Sproporzione sanzionatoria e grossolanità tecnico-giuridica tutt’altro che innocente hanno confezionato un prodotto  tossico

Di Tommaso Rafaraci |

Che scivolone la norma sui rave! Se si guarda alle finalità di tutela dichiarate, se ne poteva fare a meno (altro che necessità e urgenza!). Se si guarda al contenuto della nuova norma incriminatrice, se ne doveva fare a meno: sproporzione sanzionatoria e grossolanità tecnico-giuridica tutt’altro che innocente hanno confezionato un prodotto  tossico. Se si pensa poi, convinti effettivamente di indovinarla, al lancio di un messaggio politico-simbolico, volto a rimarcare l’identità della destra (a rischio sbiadimento nel contesto di emergenze che non hanno direzione o colore), anche a questo proposito la mossa appare poco accorta. 

Per rassicurare che il Governo perseguirà politiche attente al valore (di per sé indiscusso) della sicurezza non era il caso di esordire con un’iniziativa come questa, che scuote dal suo sonno sempre precario il demone illiberale. La stessa filosofia Law & Order – fuori, beninteso, dalle criptodittature – può trovare attuazioni in grado di stare in equilibrio con le garanzie proprie dello stato di diritto.

Il nuovo reato, che prevede una pena da tre a sei anni di reclusione per chiunque organizza o promuove l’invasione (attenuata per chi semplicemente partecipa) non copre un vuoto di tutela: contro l’invasione di terreni o edifici  valeva già l’art. 633 c.p., le cui pene, sono state recentemente inasprite proprio dal decreto sicurezza Salvini del 2018. E certamente l’ordinamento è ampiamente provvisto degli strumenti necessari a reprimere i reati (a cominciare da quelli di droga) che siano commessi durante i rave.

Nessuna necessità e urgenza, dunque, che imponesse di intervenire con decreto legge a inasprire ulteriormente e sproporzionatamente la pena per una condotta già prevista come reato. Senonché a svegliare dal sonno lo spettro illiberale è soprattutto la struttura della nuova norma. Essa richiede che l’invasione di terreni o edifici altrui, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, avvenga «allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica». Sfuma la protezione del patrimonio e subentra quella di beni giuridici di tradizionale e proverbiale vaghezza: l’ordine pubblico, soprattutto, architrave del diritto di polizia ma, al contempo, impalpabile nozione del diritto penale.

 Non occorre, si badi, che l’ordine pubblico (o uno degli altri due beni considerati) sia in qualche modo compromesso e nemmeno semplicemente posto in pericolo, bastando, perché il reato si configuri, la «possibilità» del pericolo (quello che i penalisti chiamano “pericolo del pericolo”). Ne deriva una tutela fortemente anticipata, suscettibile di essere discrezionalmente riscontrata in pressoché ogni situazione che si presti un po’: come, appunto, un «raduno» con più di cinquanta persone, che potrebbe non avere nulla a che vedere con un rave party.  Che il ministro degli Interni dichiari che la norma sarà applicata solo ai rave party non può certo rassicurare, posto che le norme, a maggior ragione quelle penali, una volta in vigore, valgono naturalmente per quello che dicono.

Non può sorprendere dunque che l’introduzione del nuovo reato sia stata percepita come inaccettabile strumento di pressione sul pieno svolgimento della libertà di riunione nelle più varie sedi, là dove il rango di questa libertà richiede misura e tolleranza, piuttosto che “tolleranza zero”. Tanto più che le più alte soglie di pena ora stabilite non valgono soltanto come minaccia di punizione ma autorizzano arresti in flagranza, custodia in carcere e, manco a dirlo, intercettazioni. 

A prenderlo sul serio, è un quadro sinistro, da rimuovere quanto prima anche dalla cantina, che dimostra ancora una volta come lo strumento della repressione penale, anziché essere inteso quale extrema ratio destinata a reprimere condotte ben definite e realmente offensive di beni giuridici, rischia di essere impropriamente piegato a logiche di controllo sociale. E tra i tanti ruoli impropri a cui il diritto punitivo può essere piegato questo è fra i peggiori. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA