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Il Natale è la vera comunicazione inclusiva

Di Massimo Naro |

Qualcuno dice che occorreva la recente overdose di fraseggio politicamente corretto made in Europe per riportare al centro dell’attenzione il senso (cristiano?) del Natale. Prendo sul serio l’ipotesi e ci ragiono su. Se pur sia balzata alla ribalta delle cronache come manovra per abolire il Natale, in realtà quella mal pensata e peggio formulata circolare per gli uffici della Commissione Europea era finalizzata a sancire il galateo mediatico cui funzionari e commissari dovrebbero attenersi dentro i palazzi di Bruxelles e Strasburgo. 

L’intenzione era delle migliori: una comunicazione non discriminatoria. L’ispirazione invece delle peggiori: appunto la più appiattente e neutra (più che neutrale) political correctness, sintetizzata nell’indicazione secondo cui conviene curare “una comunicazione inclusiva, garantendo così che tutti siano apprezzati e riconosciuti indipendentemente dal sesso, etnia, religione o credo, disabilità, età o orientamento sessuale”. Istanza sacrosanta, certamente, se non fosse che le sue declinazioni pratiche, suggerite nel prosieguo del famigerato documento, finirebbero per dimezzare il vocabolario di quei colletti bianchi. D’altronde non è casuale che quel protocollo interno abbia ridestato diffidenze e resistenze proprio per l’inciso meramente esemplificativo e del tutto congiunturale sulla presunta opportunità di parlare, dentro quelle stanze ovattate, di ferie festive piuttosto che di vacanze natalizie. Effettivamente c’è di mezzo il senso (cristiano!) del Natale, il cui congedo definitivo dalla nostra consapevolezza comunitaria – è il caso di dirlo – viene certificato tra le righe di un semplice avviso da affiggere in bacheca. Il Natale è, difatti, la dichiarazione della storicità dell’essere umano, accettata e assunta persino da Dio. Per il quale umanarsi, nascendo bimbo a Betlemme circa duemila anni fa, comporta situarsi in un preciso segmento spazio-temporale e calarsi in una determinata condizione esistenziale, esponendosi ai condizionamenti derivanti da quella medesima condizione. È questa la notizia paradigmatica, inedita e anzi inaudita, che detta i criteri di ogni altra inclusiva comunicazione e – trattandosi nella natività del Cristo – di ogni altro annuncio attendibile, degno cioè d’attenzione. Intuire cosa sia un annuncio attendibile può – forse – risultare un po’ più facile a partire dall’effetto dell’annuncio stesso. Una vera-notizia, che sia cioè autenticamente tale, non semplicemente prevista seppur improvvisa ma, più radicalmente, inattesa ancorché sperata, anzi inopinata benché attesa, produce sempre un qualche effetto, ha delle conseguenze e non si limita a suscitare delle reazioni. Queste ultime hanno certamente la loro importanza, ma stornano l’interesse verso coloro che ascoltano l’annuncio, ognuno prestandogli l’attenzione di cui è capace e stando nella situazione in cui si trova, o nella condizione che gli è propria. L’effetto, invece, è intrinseco all’annuncio, che rimane assoluto rispetto alla persona cui è destinato, anche se rivolto proprio a chi lo riceve in termini tanto intimamente peculiari da risultare una comunicazione mirata, personalmente a lui o a lei rivolta. Questa assolutezza paradossalmente relazionale si spiega per il fatto che la vera-notizia non rimane oltre e non è altro rispetto a “ciò” di cui reca l’annuncio: è un tutt’uno con “ciò”, a tal punto che questo stesso non soltanto è annunciato ma pure si annuncia, mostrando così un’intraprendenza soggettuale che gli fa tracimare i contorni indefiniti di un qualcosa e gli conferisce il profilo di un qualcuno. L’effetto che ne sortisce ha, perciò, un duplice risvolto: qualcosa accade in chi recepisce l’annuncio, e qualcuno avviene, sopraggiunge per lui/lei, in lui/lei. Il Natale è espressione di questo fondamentale paradosso: l’annuncio che ancor oggi ce ne dà notizia trascende noi uditori, tanto da essere già prima di noi, a monte; ma al contempo ci si rivolge, raggiungendoci proprio per essere, per esser-ci, per essere-veramente, per verificarsi. È in alto, ma pure presso, anzi dentro la nostra storia. «Vola alta, parola, cresci in profondità», potremmo sintetizzare con un verso di Mario Luzi per augurarci buon Natale.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA